Crepe sopra i muri rimangono fisse nella memoria per chi passa lungo il proprio percorso, sono scene ordinarie mentre il sole sta calando e un’altra aria prende il sopravvento. Tempi di guerra per i protagonisti dell’impresa insolita di camminare scalzi nelle strade deserte, a mani nude contro corazze e baionette. Impavidi con gesta e canto nella danza veritiera dello svelamento della natura umana, volontà di dominio su se stessa che trasforma il mondo in inferno. La poesia ha cercato il monito e la pazienza di dire che non serve agitarsi tanto, che senza fare nulla già tutto il paradiso è nella presenza davanti ad i nostri occhi. Ma non c’è vista che scorga ciò che sta davanti, la maledizione si ripete bruciando vite nella sofferenza, lungo il piano inclinato della smemoratezza.
La guerra
La guerra nel mondo continua incessante non c’è momento in cui qualcuno muore per mano umana, nella fitta luce della sera figure grigie si aggirano nei paraggi dove l’odore di carogna è più forte, attratti dall’effluvio acido della paura. Fare male quando l’altro è già esanime sconfitto dalla gravità è l’arte del bastardo borghese padre di famiglia. La crudezza dei gesti e della volgarità si tingono di banalità per passare oltre nei luoghi della notte. Sono scosso per questa aria che tira, bestemmia gridata, sputi minacciosi, violenza dei lineamenti tirati delle persone in bianco e nero, nei colori della notte.
Le storie
Si, le storie circolano al di fuori dei corpi riempiendo lo spazio vuoto che circonda la coscienza intrecciando i sentimenti con altri uguali. Mi guardo attorno cercando il capo del filo di un discorso lasciato sospeso dall’attività inconsapevole, riprendendo dal cenno dimenticato per poi costruire l’architrave dell’acclamazione solitaria. In solitudine il rimescolio rumoroso dei fluidi corporei diventa invadente, una macchina sempre accesa nell’ansia dello spegnimento definitivo. La luce filtra estendendosi nelle cose riconosciute, lasciando buie quelle sconosciute, non c’è modo di rifare il mondo piegando il fotone a volontà umana, ci sono solo dei momenti in cui la distrazione permette di buttare lo sguardo sullo sconosciuto, apparendo tutto meraviglioso e tremendo in un attimo di assenza dal confine dei nostri nomi propri.
Monadi
Le storie sono tali quando vengono ascoltate e rilanciate nella scena delle relazioni, parole che sollecitano proposizioni in un gioco architettonico senza un fine preciso, ma modalità di propulsione del calore umano. Sullo sfondo stanno ferme le cose di natura che ci contengono silenziose con la presenza. Ogni giorno ci andiamo a sbattere senza riconoscere di essere dei derivati da esse, l’increspatura dell’ignoranza ci ha reso desensibilizzati alla unione con tutto il resto riducendoci a delle monadi.
Per gli educatori
Il silenzio o meglio lo stare in presenza mentale come dicono i buddhisti è già una relazione accogliente in cui non si chiede performanti richieste e non si danno consigli, ma stare in compassione con la sofferenza è un modo per lenire il dolore. Nei colloqui ridurre al minimo lo sforzo per la costruzione dei discorsi, permette la sintonizzazione sul sentire lo stato di attivazione del sistema nervoso in modo da cogliere le emozioni che si agitano in quel momento, contrastando con la calma il disagio.
Tornando a casa
Tornando verso casa dopo la visita alla fiera del paese si incontrano comari a spasso con il cane, sgambettano intorno come se l’essere indaffarati non lascia tregua nelle lente giornate della vecchiaia. Un cenno di saluto al riparo dal raggio di luce invadente nel primo tempo prima della calura estiva. Un ricordo sovviene tra l’incespicare dell’approccio cortese e il tempo fermato nell’immagine del passato, solo un attimo e come rugiada sgorga la commozione anziana dello struggimento nostalgico della casa originaria, e con imbarazzo il saluto si orna di lacrime spregiudicate. Il cigolio della porta di casa riporta l’attenzione sul presente come se il tempo esistesse, solo un attimo di imbarazzo verso le cose attorno depositate, orme sagomate nello spazio per richiamare la vista al concreto della realtà. È solo uno dei tanti giorni che scorrono ridefinendo i ricordi, verso la colazione in piedi come sempre in modo da non dubitate del risveglio. La finestra sulla strada è un occhio vigile che rimanda ad altrove, paesaggio nella radura arsa dal potere della conquista, il desiderio che mai si quieta per sua natura annega nel latte di soia nel momento in cui tutto tace.
Il filo
Il filo che tiene insieme i ricordi annodando la storia è menzognero, nasconde in modo barbino le scappatelle dalla linea retta verso scorribande in territori sconosciuti, per tornarsene poi come nulla fosse nel solco del tempo dritto. La relazione d’aiuto diventa divergente per natura interessandosi ad i paesaggi dell’altrove senza che nessuno degli interlocutori ne sia al corrente, gli strumenti diventano i sensi, come per i cani da tartufo. Avviene sempre inconsapevolmente il ritrovamento del tesoro restando ignoto in quanto il mistero resta risolto nel dominio del sentimento. Le parole per spiegarlo sarebbero parole sprecate, per cui ancora il silenzio nello stare in presenza è la migliore medicina. Questo per dire che come al solito il lavoro educativo non è un ricercare in superficie la descrizione delle evidenze della vista, ma una inconsapevole calata nel magma emozionale comune a tutti dove le interpretazioni non hanno un loro statuto d’essere.
Negli incontri
Negli incontri il Vecchio Cane se la cava meglio che nel restare di guardia al propio niente, gli incontri sono danze e annusi nel silenzio del parco alle prime ore dell’alba. In lontananza la macchina del risveglio tuona nell’eco anticipatore, un mostro dormiente che non teme rivali quando è il momento di avanzare nel giorno. Il tuono copre il cammino è i piccioni si fanno da parte defecando sul metallo, infischiandosene del progresso. Come ogni mattina il Vecchio Cane sfrutta il tempo di mezzo quando ancora presto e non tardi ma non troppo prima, nel tacere degli incontri amorosi. Restando sul discorso del silenzio i rumori di fondo sono come uno sfondo inespresso. L’educare ha questo spirito in cui l’azione è esattamente il punto in cui si sta fermi nelle intenzionalità non espressa, in una forma di carezza dolce del disquisire mantenendo fermo il campo identitario in cui l’alterità ci possa stare in tranquillità riconoscendosi per ciò che è. A volte il dire è un che di superfluo, è solo un indice d’insicurezza, una sbavatura nelle reciproche paure.
Nei momenti brevi
Nei momenti brevi ascensionali nelle vette rarefatte l’apparire assoluto dilegua il tempo come nuvole al sole, il tacere lascia l’eco delle mille cose possibili, ma la rinuncia è l’unica possibilità di senso nella relazione amorevole. Già il divenire si impone come violenza assoluta al primo vagito e forse prima ancora, la continua trasformazione avviene naturale non serve calcare la mano producendo maggiore cambiamento. L’arte del lasciare stare accompagnando con minore violenza possibile i mutamenti è il principio basico del rispetto della vita, acquetare il chiacchiericcio nella brulla selva di macchine umanoidi nel disperato tentativo che il silenzio della musica torni a governare i sentimenti.
Immersioni nel mare
Immersioni nel mare dell’oscurità tra l’avventura e l’obbligatorietà del vivere, nei flutti minacciosi sulla cresta mentre al di sotto si aprono le relazioni. Incontrando i filosofi si apre il cerchio della domanda perché essere invece del nulla, in un mulinello di correnti ascensionali le risposte si fanno via via più complesse, ma sul fondo quando arriva il momento, il silenzio sovrasta ogni cosa lasciando vagare lo sguardo verso ciò che sta innanzi e nello stesso tempo dentro riflettendosi in ogni direzione. Il fondo come parabola dell’ultimo luogo possibile dove il suono è vibrazione in assenza di suoni, ma poesia silenziosa del tutto.