Questo sole pallido è il mio sole, presente nelle apparenze e nei giochi sfumati degli oggetti. A volte guardo direttamente verso l’alto per restare momentaneamente accecato. È un modo per riscoprire la potenza della luce e non darla per scontata. I giorni che trascorro si intrecciano gli uni agli altri. La linea del tempo è concava, conservando a ritroso il futuro nei ricordi del passato. Non vorrei più soffrire per le incomprensioni, ma lasciare che le emozioni possano girovagare libere e nude. Tuttavia, sotto questo sole vige un’oppressione che tracima in violenza. Passo dopo passo si arriva alla fine dell’anno, raschiando il fondo dell’insensatezza per cercare gli ultimi scampoli di quello che fu. Sono sempre io? Sono ancora in questa realtà? Sempre se un significato possono avere queste domande. Mi ricordo di Santa Lucia come di un giorno speciale e drammatico allo stesso tempo, carico di aspettative e, alla fine, funestato da delusioni e rabbia. Quel bambino ora è solo frutto della mia immaginazione o fantasia su una delle tante linee del tempo. Alcuni spifferi del mattino entrano da qualche varco, portando un freddo piacevole che risveglia i sensi sopiti dalla continua erosione dell’essere adulti.
Dentro agli occhi, l’unica luce possibile accende un po’ di calore. Sono le ore che segnano l’inverno di un significato gelido. La pratica del pensare il pensato, nella veste della parola, assottiglia il quadro ampio della percezione, generando consuetudini che ripetono una liturgia pagana. Vorrei sorridere, ma le labbra rimangono serrate e la mascella è rigida. Alcune cose non cambiano; restano impresse come fossili nella pietra. Facciamo finta di essere felici, ed in effetti lo siamo. Guardo il mondo e vedo meraviglia. Sono luci quelle che vengono incontro in lontananza? Sembrano occhi famelici da lupo, amici che, come me, divorano il vuoto lasciato indietro dalle comuni attenzioni.
Fitta boscaglia che, all’imbrunire, dialoga con le ombre. Sembra impossibile entrarci, ma alla fine è solo una questione di connessione. Siamo ancora primitivi nella trattativa tra generi, fermi da secoli a combatterci tra di noi per differenze banali. Ancora lontani dal sapere come comunicare con vegetali, animali, pietre e con tutto ciò che abbiamo dato un nome. Ma la pace si costruisce con tutto ciò che c’è, nulla escluso, compreso l’inconsapevole. Per cui, oltre la paura, si muovono i passi nel sentiero ombroso. Guardando in alto, la luce si fa incontro come in una festa.
Dilegua all’istante dal momento in cui si guarda la percezione dell’ineffabile, una cupa presenza nella quotidianità, dipendente da un’abitudinarietà estrema. Il ciclo della vita mi alita sul collo in modo pressante, e a volte fatico a dimenticarmene per lasciare spazio al farmi vivere. Forse è ansia quel senso di sfocamento, in cui la sensazione pare fuori posto. C’è una membrana che apre lo spazio tra i contrari, ed in questo oscillare il pensiero viene triturato.
Sento una stanchezza da fine anno; il quaderno degli appunti si chiude su di me. Sento il non sentire e questo mi rattrista. Le luci del Natale brillano come una stanca recita annuale: le comparse sempre nuove cercano sorrisi tra la folla che si assembla nei grandi magazzini. Io piango per un nulla, mentre vecchie barriere erose dalla salsedine lasciano via libera alla malinconia.
Sussistono punti nevralgici, momenti di svolta a cui bisogna dare ascolto. Il cambiamento tocca le corde intime e profonde del sentire, e in questa metamorfosi desidero scoprire nuove forme di quotidiano. La passione è un collante positivo; apre al possibile, al non ancora visto o ascoltato. Quante volte si può passare per la stessa strada e non accorgersi della bellezza a portata di mano?