Guerrafondai

Nelle file schierate degli uomini in divisa si intravede l’ordine delle cose che si attrae verso punti convergenti, è una conformazione di sicurezza che catalizza un consenso verso una specie di fattore comune per trasformare le masse in idioti pronti a smettere di esistere con autonomia. Ricomincio come sempre ad interpretare il tempo che dentro allo scenario si da come parole da leggere, gli avvenimenti man mano caratterizzano la giornata ed oggi vedo la guerra tra uomini e donne, in cui ormai non è più solo una questione di diritti o rivendicazioni, ma è in atto una guerra per una certa visione del mondo ed in questo lotta il genere ne è il cardine, infatti la visione femminile con quella maschile ha raggiunto l’inconciliabilità, probabilmente non è più nemmeno questione di quale sia la migliore perché il risultato è una guerra con morte e distruzione. Cerco nel mio viaggio di incontrare la gentilezza ma sempre più le risposte sono gridate ed i gesti sconclusionati come nei riti di difesa per sembrare più paurosi di ciò che si è effettivamente, ascolto il mio rumore interno e cerco respirando di placare l’ansia che individua una breccia nell’ unità per farmi fuggire dal mondo. Strattonato dal torpore nella pausa della scissione riprendo il filo indennitario o uno dei vari per ricomporre i gesti del sempre quotidiano che affaccia sulla via della banalità, un saluto non si nega a nessuno ma ci resto male per la continua mancanza di rispetto subita. Sono tante le cose che ormai non tornano ad aderire al quadro del puzzle, solo una piccola cornice rimane a tenere il senso del sé che nel significato ormai sta scivolando verso l’insignificanza ed il nuovo Prometeo ancora non è abbozzato, di certo la volontà di potenza dei guerrafondai che da sempre popolano il pianeta stanno dominando la scena. Mappando le notizie come pratica quotidiana del “vediamo cosa è successo ieri” si snodano concatenazioni di senso di ciò che emerge dal mondo ed è evidente che il governo della massa delle sensazioni umane è tenuta a bada da combinazioni sempre più bizzarre del potere. La religione come strumento mortifico è tornato sulla scena in grande stile abbordando la vecchia Europa illuminista e affondandola nello spettro della paura del proprio collasso, la gente un tempo mite, ora assomiglia sempre più a bande scalmanate in cui i maschi tornano al vecchio vizio di colpevolizzare le donne perché sono le migliori nei momenti di crisi. Sono stati i filosofi greci che iniziando il pensiero occidentale non hanno saputo interpretare l’intelligenza femminile relegandola per paura nella insignificanza della differenza di genere, e di fatto dando vita al vero peccato originale in cui ancora oggi restiamo impantanati nella melma dell’ ignoranza. Citando Musil: “ I filosofi sono dei prepotenti che, non avendo a disposizione un esercito, per assoggettare il mondo lo rinchiudono in un sistema. Probabilmente questo è anche il motivo per cui nei periodi di tirannia vi sono state grandi personalità filosofiche, mentre nelle epoche di progresso civile e di democrazia non si riesce a produrre una filosofia convincente, almeno a giudicare dal rincrescimento che si sente universalmente esprimere al riguardo. Perciò oggi si fa moltissima filosofia spicciola, cosicché sono rimaste ormai solo le botteghe dove si può acquistare qualcosa senza una concezione del mondo, mentre nei confronti della filosofia all’ingrosso regna una diffidenza manifesta”.(da:l’uomo senza qualità) Il nemico è il concetto dell’oscillazione duale che rende concreta la trama oscura tra un punto e l’altro, quindi la differenza che è la fonte della conoscenza diventa l’avversario su cui la volontà esercita la potenza in una spirale di assurdità solo per sanare la paura di accettare la propria intera natura che è la consapevolezza compassionevole.

Aspettando il calare dei discorsi

Nascosto dietro la mia figura aspetto il calare dei discorsi lasciti abbandonati intorno all’area dove la sosta è a pagamento, per poi sgusciare via per il tempo concesso senza l’io in modo da essere trasportato nel mare delle sensazioni senza il bisogno di nominarle. Ristetti come una figura immobile mentre le auto sostano e ripartono in modo perpetuo, non c’è un filo di senso in tutto ciò ma solo costrutti individuali che si attraggono e respingono come nel tango senza mai lasciarsi veramente. Di profilo sembro apparire diverso ma oltre la figura ci si accorge che qualcosa manca e quel qualcosa è l’essenza in fuga dall’essere se dell’ essente. Ora mi chiedo se oltre alle scaltre visioni del giorno si possa in qualche modo eludere la concretezza del concreto, un passare attraverso senza per forza gravare sulla frizione con gli oggetti in modo da sentire la conoscenza in ogni sua direzione, nella stanza accanto il respiro del cane è rumoroso per la calura, ma non scompone la sua smania di immischiarsi nelle trame altrui, si percepisce in questo l’incrollabile volontà di vivere ed è contagioso nella convivenza. Oggi è domenica e si sente meno la calca delle auto verso la città quindi si può lasciare le finestre aperte, ed in questo modo il proprio presente si mischia ad i discorsi frammentati che scivolano da dentro le persiane per depositarsi con la polvere nelle incrinature delle fughe del pavimento, animando di fantasia le pareti bianche che si fanno sfondo da teatro. Gli odori delle spezie volano negli spazi lasciati liberi dai ricordi evocando provenienze ed etnie mischiate in questo nuovo mondo che fatica a lasciarsi dietro la realtà unicolore dal sapore coloniale. Sembra lontano l’eco della guerra ma di fatto è già nei cuori e nel linguaggio dei popoli in cui si da come possibilità, per cui si prepara lo sfondo della tela per poi con il sangue erigere l’opera del destino compiuto. Raccontare il quotidiano mentre si srotola è un esercizio da funambolo appeso tra due dimensioni; un passato e un futuro che non si incontrano mai, nel mezzo la bufera degli oggetti che seguono il corso delle trasformazioni. Una vecchia grassa e sgradevole all’angolo dalla via, appoggiata ad una invisibile sponda permane ferma come un monito senza un movimento o un sussulto di vita, una strana figura per uno strano giorno sotto il sole che si fa lucente, in una mutevole sensazione che mentre si passa oltre l’angolo il tempo trasforma la figura in giovinetta che attende sorridente il passaggio. Nello scorrere c’è lo stupore di trovarsi in alternanza in uno dei due estremi in cui conchiudere lo spettro della realtà, forse in base ad un umore o semplicemente a come il piede cade nel mattino dal letto, per cui poi camminare diventa un esercizio di mediana impostazione delle aspettative. Appare tra le dune l’inizio del bosco come massa oscura che si dipana oltre l’orizzonte dagli sguardi deboli nella loro umanità; è nell’antro al di sotto della luce che l’azione prende vita animandosi in quella lotta che si profila come sopravvivenza. Le radici si parlano diffondendo gli avvenimenti in modo che tutto il bosco rimanga informato sull’accadere e possa prendere forma in base al vivere e morire delle molteplici trasformazioni. Probabilmente non è una comunicazione come l’umana ma il nostro limite è l’impossibilità a pensare al di fuori della metafora di noi stessi per cui ci è inconcepibile pensare l’impensato. Ancora il vento parla nel bosco fitto suggerendo le antiche formule di quando le persone erano solo una parte minoritaria ed il loro vociare non sovrastava ancora il linguaggio della natura, ora solo chi ha sensi finissimi può percepire la musica antica e goderne il sapore.

Scosso da un vento contrario

Scosso da una un vento contrario che si presenta puntuale con l’avanzare dell’età mi ritrovo bloccato nel turbine dei pensieri da un finale di partita. Solo nei sogni compaiono immagini che ricostruiscono il passato in nuovi corpi ed in nuove sensazioni, nella veglia si dirada il ricordo ed il sopravvivere si prende la piazza. Rincorro un po’ i pensieri lenti che dopo una crisi faticano a tornare scorrevoli e chiari, è come in conseguenza ad un botta quando si rimane intronati e la vista leggermente fuori fuoco, si preannuncia un aumento della calura ed ogni evento ormai è una catastrofe da qui all’estinzione. Sono chiari i tuoi occhi mentre appaiono dalla penombra delle persiane accostate, le linee tratteggiano la stanza mentre i corpi si scompongono nella rarefazione della luce, sono intimità senza tempo che permangono nello spazio della memoria reificando gesta dal passato. Dal corpo il sudore rotola verso il senso della gravità ed attimi di vento producono un brivido nel caldo della notte che avanza, trascendere per ritrovarsi nel respiro come un automa che scandendo le carte si ritrova con l’ultimo mazzo possibile prima della sconfitta. In fondo il mio lavoro non è un lavoro come quando da giovane facevo di tutto per racimolare qualche soldo, ciò che faccio ora è una pratica zen nei termini occidentali, ascoltare le pause tra una parola e l’altra, osservare le assenze tra un gesto e il successivo, e stare in presenza mentale con gli altri nella consapevolezza che il cambiamento verso il benessere può essere ottenuto solo dalla persona che lo desidera. In molti la sofferenza è così forte che lo stare insieme diventa una condizione assordante ed il silenzio resta l’unica cura possibile, invecchiando i tempi si restringono e le parole appaiono sempre più come gusci vuoti, il ripetersi delle situazioni a volte fanno sorridere per la mancanza di memoria in cui il presente ci accompagna. Il motto di spirito, o quell’avanzare sorridente ed un po’ birichino per certi versi satirico che permette incursioni dirette nelle sensazioni ancora vive, ecco questo modo è a volte efficace per connettersi con l’altro senza urtare la sensibilità della corazza caratteriale difensiva. Un po’ per forza ci si immischia in cose altrui senza tanti preamboli, nelle stanze del ricordo dove tutto viene vomitato per poi essere ruminato per le volte necessarie alla trasformazione, è solo attraverso una distorsione della visione che la storia prende una piega diversa per essere capita. La guerra in Europa comincia a degradare nell’ informazione come seconda scelta lasciando spazio ad un teatro nostrano da fiera periferica, lasciando intatto quel rumore di fondo del senso comune banalizzante che lascia ogni cozza aggranchiata al proprio scoglio. Leggendo Musil ci si accorge che ad inizio secolo scorso praticamente si facevano le stesse menate che ci facciamo noi oggi, anche loro smemorati andavano ignari incontro a due guerre devastanti, pensando come noi che la pace non potesse essere messa in discussione. I conti con l’umano sono semplici essendo un corpo sociale è facilmente manipolabile, basta poco per trasformare agnelli in lupi o greggi da macello, in questo come indica Musil basta non essere smemorati per avvedersene.

Dentro alle solite banalità

Dentro alle solite banalità ci si incammina sul sentiero della notte percorrendo la distanza che separa l’eco della domanda con la coda della risposta, è un momento di stasi nel corso di questa vita che allarma la consapevolezza di non esserci mai stato sul sentiero o in vita. Crescendo e mutando il corpo si adatta alle idee in concetti astratti accettando di fatto di non essere più se stesso, diretto da fuori dai pensieri che vengono da dentro in continua contraddizione con il fare quotidiano che così diventa una fatica. Difficile che mi venga voglia di muovermi per andare a vedere cose su cui altre persone si trovano per condividere un posto comune, ormai ho una forma forzata di pigrizia che restringe la possibilità di movimento e rimango spesso nell’ombra in compagnia dei pensieri che lentamente si sciolgono nel caldo dell’estate. Le possibilità nascono poco per volta prendendo spazio prima in un angolo remoto come un lontano riverbero, poi piano piano si allargano spostandosi verso il centro fino alla condizione di un compimento. Non ci sarebbe un risultato se prima in qualche modo sia già introdotto il seme iniziale; per esempio chi decide di uccidere o di uccidersi non lo può decidere per un caso frutto di un momento particolare, ma nella cernita delle possibilità già presenti, quindi preparata in anni nella periferia della memoria come finzione ed esplorazione dell’ inaudito fino alla costruzione dell’impossibile nel possibile dei scenari della propria realtà. La spazzatura viene ritirata sparendo dall’orizzonte di chi la produce a meno che non si stazioni nel proprio scarto, la consapevolezza è il pattume che non sparisce ma permane nell’orizzonte in modo da trovare la strategia per la convivenza. Mi ci ritrovo nella super cazzola sparata così come viene nel roteare dei pensieri mentre quasi svenuto dopo le pulizie del pavimento di casa rimango disteso sotto osservazione del cane che guardando perplesso sbadiglia e aspetta un segno di ripresa. Mi risuona lo scritto di Eco: “perché l’essere e non il nulla”, ma… davvero siamo ancora a chiedere al nulla perché c’è il qualcosa? Oppure perché l’umano sembra così distonico con il proprio ambiente? Giorno per giorno sono scandite le sillabe che promettono di congiungersi in modo armonioso con un retro gusto nostalgico (Nagori), perché il moto in avanti ci rende perennemente dimenticati in un regno mellifluo in cui i significati si mischiano in una eterna buriana? Il diario scandisce i giorni ed oggi è proprio un giorno di luglio, ma una volta detto è ancora così? Oppure siamo già nell’altro mondo quello che viaggia al contrario con le interiora al posto della pelle e gli occhi rivolti al dentro, un amico cita il diavolo come compagnia del suo viaggio, ma difficilmente il diavolo si fa cogliere da singole entità essendo il plasma in tutte le dualità. Non che non si possa parlare con il diavolo ma è certamente una conversazione al limite in cui poi è facile non trovare più la strada di casa, meglio restare nell’ombra del mito congelando tra storie e fantastiche visioni. Le due righe da scrivere verso sera dopo varie letture spingono verso i paradossi, risulta alquanto difficoltoso restare dentro ad un pensare in parole che tendenzialmente, le parole , hanno la facoltà di esplodere appena stressate dall’attenzione, solo una mano vera che accarezza può riportare il mondo sulla terra. Alla fine il sentimento è ciò che lega ad un significato il senso dell’esistere, e spesso è dedicato ad un altro con cui si condivide lo stesso progetto, stare per stare insieme questa è l’unica cosa che ci definisce.

Vico e Rod

Come sempre i ragazzi tornano verso casa quando il sole sparito dall’orizzonte rende incerto il senso di sicurezza, nei soliti gioghi si è inserita una nuova sensazione mai provata prima, un senso di spaesamento dovuto ad una fine imminente, ma la fine di cosa resta un interrogativo. Anche l’eco delle risate o dei giochi di parole con quel parlarsi addosso fluente senza un filo che conduce da qualche parte, ma solo un suono di voci amiche e rassicuranti in cui il costrutto ha meno importanza rispetto al parlarsi degli adulti. Il tornare ha quasi sempre un sapore amaro ricacciato giù dall’aumento della salivazione man mano che il ritorno trova il proprio approdo, nella casa che contiene tutta un’altra dimensione dei rapporti sulla scorta degli affetti intrecciati con possessività e sottomissione. Vito torna sempre a casa anche se non vorrebbe, non sa ancora spiegare quel rimuginino che gli prende dentro le mura della famiglia, un suono di tenebra che rimbomba tra le stanze vissute come estraneità e sempre scurite anche nei momenti in cui il sole penetra dalle persiane aperte. Solo il proprio letto ed il metro quadro intorno è l’isola chiara dove lasciarsi andare tra i propri oggetti che come amuleti riconducono ad un senso identitario con il fuori da lì, non che i propri genitori siano dei mostri, ma Vico non li capisce, anzi non riconosce in loro i propri tratti. In parte è dovuto che da un certo momento in poi la memoria di essere un bambino è svanita, evaporata in una notte, ed il presente è diventato una continua incognita, per cui il mondo è iniziato ad essere pericoloso e gli adulti di casa delle possibile spie pronte ad un tradimento. Per Vico solo il gruppetto di amici resta qualcosa di reale su cui contare per esserci nella quotidianità delle cose, peccato che si trovano all’esterno è il mondo di “casa” con il fuori sono inconciliabili, per cui il rettangolo di appartenenza per le sue cose è anche la navicella con cui nella fantasia viaggiare verso l’altrove per come le sensazioni lo indicano. Vico non sta con genitori violenti o problematici ma semplicemente impegnati nelle loro cose, infatti fino ad un certo punto tutto tornava senza sbavature, Vico sentiva di appartenere a quella coppia. Vico non ha ben preciso quando è cominciata la sbavatura in cui le sensazioni sue e dei genitori hanno cominciato a divergere, come suoni stonati che fluttuanti hanno iniziato la creazione di atmosfere cupe rimescolando il conflitto che in Vico è diventato risentimento e rabbia per i genitori. In poco tempo si è trovato a ritirare le sue proprietà nel metro quadro intorno al letto e la postazione della play, ed come in trincea a spiare se fosse spiato o se le sue cose venissero toccate. C’è una età in cui le emozioni non hanno baricentro è sempre un’altalena tra estremità, non si può essere solo felice bisogna esserlo in eterno, per cui poi si sprofonda nell’infelicità più nera, gli amici per la vita, per poi una parola sbagliata ed è il più vile tradimento; tutto diventa una instancabile corsa sulle montagne russe in cui a questa età non si percepisce l’approdo. Vico ripensa al suo amico Rod che si vanta dell’erba che frega al fratello per poi manipolizzare l’attenzione di tutti nella prospettiva di fare una cosa proibita. A Vico non interessa fumare ma si lascia trascinare perché ci tiene al momento di gloria del suo amico, Rod è lo sfigato del gruppo ed è sempre ultimo in tutte le attività, ma è proprio per questo che Vico si sente attratto da Rod. Quando a fine giornata si ritrovano da soli lui è Rod per fare l’ultimo pezzo di strada prima di casa, Vico sente una vicinanza ed una complicità che lo rendono contento di essere soli in quel momento, sono emozioni nuove che ancora Vico non sa decifrare, ma sa che quello è il momento migliore della sua giornata.Ci sono momenti particolari nella giornata in cui si dipana la confusione e resta una chiara sensazione di essere nel posto giusto, sono fugaci ma sono pioli piantati nel tempo che permettono la sopravvivenza, altrimenti l’angoscia prenderebbe il sopravvento e il nulla presenterebbe il conto. Vico in alcuni di questi momenti ritrova lo sguardo dei suoi genitori e sente la casa come propria, ma non esprime all’esterno alcun sentimento, ma anzi ne fugge via rintanatosi dietro ad una maschera dall’espressione burbera. Vico riprova mentalmente le parole da dire e non sempre i suoni si accordano con i significati, non ricorda da quando è iniziato questo mesto rimuginio in cui le parole sfuggono via come meteore lasciando vuoti senza senso. In modo intuitivo Vico ha capito che le narrazioni fatte da parole sono il male cioè l’impossibilità di farsi capire in modo vero, è per questo che all’imbrunire con Rod il capirsi passa tra il sudare insieme nella corsa o rotolarsi nell’erba fresca della sera, oppure negli sguardi con le mille sfumature nel sorriso della complicità. Oltrepassando il noto Vico si sposta nella terra dell’unicorno mentre dalla postazione franca del luogo del proprio odore apre il velo verso quel mondo non più visto dagli adulti, attraverso reti invisibili avviene una connessione alla terra fantastica senza parole ma con colori, urla, striscamenti, formule magiche e sopratutto il pulsare del cuore. Vico ancora non è in grado nel districarsi nella realtà delle sensazioni amorose, ma rispetto a Rod sente una stretta di gelosia quando è attenzionato da altri, e stupidamente si ritrova a fare cose eclatanti solo per attirare la sua attenzione , ha capito che in lui l’attrazione per l’altro sesso non funziona, non come sente declamare dal suo gruppo quando vedono le ragazze, ma ancora la presenza inquietante della possibilità di essere diverso è sopita nella descrizione dell’amicizia.

Giugno rovente

Un giugno rovente senza acqua si sta lasciando alle spalle una stagnante oppressione in cui gli uomini e donne ritornano in una guerra aperta, i conflitti nella povertà delle risorse toccano tutti i temi delle disuguaglianze per portali all’estrema oscillazione della violenza agita. Per molti è facile stare nell’estremo per via della semplicità del linguaggio che lo esprime, infatti come tifoserie sportive la scelta non è mai più di due, in questa narrazione bicolore si posizionano le persone inaridendo di fatto tutte le possibili sfumature che sono il succo del sapere. Lo sfasamento della percezione include un pacchetto di insicurezze fin dal mattino quando i contorni che appaiono sembrano sconosciuti, ma oggi il traffico del lunedì impone la realtà della fretta e del darsi da fare anche se in verità non vorrei. Non vorrei nemmeno ascoltare il notiziario della rete che impone significati e direzioni sempre nell’ombra funesta come un sedativo alla ribellione e alla creatività, mano a mano che crescono le parole scritte il mio corpo sta disimparando il gesto del parlare. Già dal mattino il sole tara le cose con lineamenti netti abbaglianti, come un pittore con mano ferma scolpisce nitide pennellate e nel sottosuolo i concetti si ritirano in profondità, per bisogno dell’oscurità e della fredda presenza della roccia antica in cui è deposta la saggezza dell’immobilità. Le richieste del giorno si fanno sentire, cose da fare, da ascoltare, da rispondere in un giro di richiami che alla fine si depositano senza più valore sul selciato strambo del mio percorso quotidiano. Porte che sbattono, il suono metallico del cancello si insinua tra la finestra aperta ed il timpano logorato dalle continue baraonde del vociare e niente sembra al proprio posto come una innumerevole fila di quadri storti. Vorrei tornare un attimo nel dietro le quinte quando ancora l’inizio non è accaduto e respirare con calma da solo nella fessura tra un tempo passato e quel tempo non ancora avvenuto. Si spezza un ramo mentre il cielo si rabbuia ed il presagio vola oltre la corte indietro nel tempo quando gli spazi aperti erano in abbondanza ed con quattro passi te ne stavi già solo in campagna. Un salto tra vecchie foto della città che si sgrana nella coscienza come un lamento abbandonato in questa unica direzione in cui crediamo di andare, è un modo di vedere le cose che possono tornare o scartare di lato, espandendosi in mille direzioni possibili in quel strano concetto che è la memoria. Mi dico che:”La poesia è un atto complessivo in cui franando si abbatte come un maglio sulla certezza di un contenitore e dissolve nella magia la paura dell’esserci, in una costante musica che avvolge restituendo una appartenenza dissolta in tutto quello che sta intorno”. Potrei rispondere che:”i sentimenti squagliandosi nel caldo strano di giugno rimboccano le maniche ad i concetti e si lasciano lanciare nella vibrazione del ventaglio colorato preso alla fiera di primavera quando ancora non serviva a niente, ma ora fa una bella figura mentre scaraventa oltre il limite la parola in un gioco a pin pong”. Provo la parte per la recita, infatti quando si è vecchi, si torna alle cose basiche come giocare al teatro. “io inizio da solo prima che un domani qualche educatore mi imponga di farlo”.

Sapere educativo

Quando si deteriora la politica il sapere educativo segue la stessa parabola e di questi tempi la pedagogia non gode di buona salute, fagocitata nelle spire dell’istruzione e dell’addestramento. Il pensiero o il saper pensare conta poco rispetto alla massa degli ubbidienti che rispondono ad i comandi delle cose che ora padroneggiano il mondo, la cosità che trasforma la relazione in una transazione ed un affetto in una merce di scambio. Per alcuni niente di nuovo era stata prevista dai filosofi questa china discendente dell’ umano: da dei a mortali ed infine a cose, in questa Terra desolata la livella ha desertificato il pensiero rendendolo una funzione per cui prigioniero di se stesso, non più in grado di andare oltre le colonne di Ercole e creare ogni volta nuovi mondi. Questo è il momento propizio per riportare il pensiero in cima alle priorità dell’educare politico, infatti è nella crisi che si sprigiona la forza creativa come propulsore di idee, battere le strade della memoria per riportare in luce le virtù e vizi già presenti nei fotogrammi trascorsi e elaborali per l’uomo e donna di oggi. Nel bagno dell’informazione è difficile capire se ci si trova con la testa sotto o con la testa fuori mentre si naviga tra i concetti e le allusioni a scenari futuri, un po’ storditi si rimane nella corrente perché andarci contro è estenuante. Una pausa per una bibita ghiacciata al parco del quartiere e ci trovi un festa delle associazioni che mostrano il loro volersi bene ed il darsi da fare per gli altri, ma è proprio così? Guardando bene i vestiti poco appigliati al colpo d’occhio d’insieme sembra una divisa e gli sguardi non sembrano condividere con passione fino in fondo la sfortuna altrui, quella di essere semplicemente nati da qualche altra parte. Sento la paranoia che sale ed è meglio andare verso quelle ombre oscure che governano le sensazioni, rabbia, vendetta, umiliazione, e lasciare sullo sfondo il rumore molesto di chi pensando solo a se non si accorge delle povertà calpestate, a questi confido nelle parole della poetessa: Eternità e morte insieme mi minacciano, nessuna delle due conosco, nessuna delle due conoscerò.(Patrizia Cavalli). Dico a tutti che entrambe accarezzeranno buoni e cattivi sulla via che porta alla smemoratezza delle molte volte che abbiamo rivissuto e delle molte volte che abbiamo ignorato ciò che non può essere ignorato. Anche nelle beghe da condominio dove emeriti sconosciuti che vivono a fianco da anni si prefigurano venti di vendetta per assurdità di poco conto, anche per loro la carezza del nulla può arrivare improvvisa e lasciare il segno nella propria insignificanza. Il voler contare di più, il voler essere più di un altro, questo volere che come un mantra corrode ogni tipo di cooperazione e alla fine resta sempre la caducità che si porta via la memoria ed gli ultimi passi si fanno nel completo limbo della non curanza.

L’assemblea

È strano come si reagisce all’interno di una palla la ‘Terra” lanciata a folle velocità nello spazio mentre al suo interno sta per scoppiare un incendio che arderà la carne come salsicciotti allo spiedo. Si fanno assemblee o riunioni su ogni cosa girando in tondo alle parole fino a spolparle di ogni possibile senso, mettendoci il più sentimento possibile nell’accorato tentativo di acclarare la tesi sposata con l’identità assunta in anni di convenevoli. La paura dell’ annientamento ci rende ciechi quindi è forse meglio attivarsi per litigare sul niente o il meno peggio in modo da non scostarsi dalla proprie consuetudini, noi del vecchio continente pigri per le grandi gesta in maggioranza ormai non siamo altro che spettatori di eventi, senza realmente realizzarne uno, anzi snobbiamo chi ogni tanto fa capolino dalle masse e riporta nelle strade la storia reale. Sono vecchio e mi tocca lavorare con i giovani che come bozzoli tenuti troppo al chiuso faticano a trovare una forma, il dolore diventa rabbia e spesso la medicina è l’oppio che da sempre si presta al rimedio. Torno alla mia assemblea che mi riguarda ancora per qualche tempo, ma non riesco a trovare delle parole che possano spiegare che forse è meglio tacere, la fatica del lavorare ormai è un peso ed i valori su cui ho sudato sbiaditi dalla cortina delle generazioni, scivolare con una tavola da surf sopra lo scibile umano come a conoscerlo è la prassi, ed ha sostituito le profondità un po’ più lente. Il mio disorientamento è il non stare dietro a questo modo dialogante e sempre più mi perdo in un autismo cronico. Poter dire ancora la mia senza che mi venga fatta offesa, perché la mia non è una verità ma una tavolozza da pittore in cui i colori sono mischiati e rimischiati senza tregua, e se da una parte c’è l’ordine degli apparati che vanno preservati perché da questi dipende il tenore della vita delle famiglie, dall’altra le persone possono essere esseri meravigliosi se abbandonano la velleità del possesso ma d’altronde è in questo che il mortale si distingue dagli esseri eterni. Sempre tornando alla mia assemblea annuale ed al modo in cui da anni reagisco facendomi prendere da un magone silente che poi per alcuni giorni mi porto dietro come un malessere generalizzato, penso che alla fine il patrimonio più prezioso sono i lavoratori e l’unica programmazione possibile è averne cura in senso Heideggeriano cioè nella presenza nella radura in cui si è gettati ritrovandosi in cooperazione per sostenere l’ignoto che mano a mano si mostra nella luce. Avere cura significa cedere verso l’altro per poi cedere reciprocamente gli attaccamenti superflui delle molteplici visioni del mondo. Nell’apparato non servono confabulazioni settoriali ma opportunità di ridurre le organizzazioni verticali in favore dell’orizzontalità della linea informativa che si traduce in formazione continua sul campo. La politica ha bisogno di essere intesa nel senso ampio della regolazione delle relazioni e delle strutturazioni architettoniche funzionali al miglior benessere delle persone, non può essere solo un discorso di una delle tante ideologizzazioni sul mercato della piazza partitica che poi al lato pratico per le cooperazioni diventano ostacolo divisivo tra colleghi. Il servizio è un atto professionalizzante in cui il sapere pedagogico deve essere speso nella migliore condizione possibile per cui la politica è trovare le condizioni per attuare queste migliori condizioni possibili con le conoscenze ad oggi presenti.

Comunità educative

Don Milani ha aperto un modo di accogliere le persone con delle finalità comuni, in cui la conoscenza è il presupposto per la padronanza nella socialità, per poi poter scegliere che uomo o donna essere. I percorsi di cura per il cambiamento non hanno di molto mutato la prospettiva, nelle comunità ancora si accoglie e la chiave per modificare il comportamento è la conoscenza. Mi ricordo l’esperienza nella comunità situata in montagna all’interno di un santuario dove la voglia di sperimentare ha coinvolto tutti gli ospiti verso una ridefinizione del proprio senso nella realtà. Una organizzazione quasi monastica laica della quotidianità scandita dai tempi della terra, in un luogo ancora possibile in cui seguire i ritmi del raccolto e degli animali. Nella mia esperienza passata con meno tecnica e più natura ho ottenuto risultati, oggi con più tecnica e meno natura ho ottenuto risultati più scarsi, questo in parte credo sia dovuto alla semplificazione organicistica dell’approccio rientrato sotto l’egida medica. Cambiare le abitudini non è una impresa facile si comincia a capirlo solo per necessità e non sempre è scontata la modifica di una routine, solo i bambini hanno la capacità di adattamenti plastici e veloci ma è una condizione particolare in cui la realtà è plasmata dalla fantasia e dal gioco. Per gli adulti già le trame del gioco si sono perse nella razionalizzazione e la fantasia è appaltata a strumenti esterni come tv o tabloid o altro come videogame. Per cambiare serve come indica Vygotskij una possibilità conoscitiva che è uno spazio di sviluppo prossimo, cosa che nelle persone con dipendenza è assente, in quanto il loro comportamento si svolge in forma di rigide consuetudini routinarie in cui il risultato è sempre la conferma della propria disfunzionalità che è sinonimo di identità. Per cui il percorso di cambiamento è l’apertura in un luogo protetto; la comunità; che è lo spazio prossimo culturale sia esterno che interno alla persona in cui poter esperire nuove modalità di risposta all’ambiente ed al proprio sentire emozionale. Serve una forma di regressione ad uno stadio in cui si riattivano le forme della curiosità e della giocosità per ritornare a “fare finta che…” in modo che la plasticità neurale possa rimodulare percorsi che assumano nuovi significati. La vita comunitaria è una mescolanza di realtà e finzione in cui le situazioni sono estremizzate al punto da giocare con le oscillazioni estreme del mondo delle sensazioni, d’altro canto non c’è altro modo per scardinare consuetudini cronicizzate in sistemi di risposta disfunzionale. L’opera educativa degli operatori è il riuscire a mantenersi all’interno del gruppo che oscilla in modo burrascoso sulle sensazioni conservando la barra sugli obiettivi di reimpostazione funzionale dei comportamenti. La visione del mondo di un consumatore di sostanze con il tempo diventa ristretta al riconoscimento dell’habitat dei consumatori arrivando a concepire una summa in cui tutte le situazioni che incontra nella quotidianità vengono razionalizzate nei significati del consumo, tipo:”tutti si fanno…”. Esternalizzando il senso della propria identità in una categoria di appartenenza si arriva a disarmare le proprie capacità di adattamento per cui si costituisce quella prigione di senso che è lo stigma, a questo punto solo riportando in capo all’individuo la consapevolezza di se e con essa la capacità decisionale può iniziare il percorso di cambiamento. Non esiste possibilità di misurare le mutazioni e se queste mutazioni sono dei miglioramenti, senza entrare nel merito del giudizio o della politica: politica nel senso della cultura prevalente nel tempo in cui le cose accadono, per cui i tentativi tassonomici nel fare rientrare il fenomeno del cambiamento in causa ed effetto al momento è fallimentare. Per cui ci si avvale della narrazione e con essa della evocazione in storie ascoltate e raccontate per entrare nel merito della trama particolare di ciascuno in modo da poter evolvere in altre consuetudini riferite come migliorative. La complessità delle variabili nella relazione umana sia verso l’interno che verso l’esterno rendono il lavoro in comunità privo di quelle sicurezze procedurali che il sistema organicistico ha costituito nel sistema sanitario, per cui la creatività nell’adattamento al mutarsi continuo delle situazioni rende l’operatore esperto del cambiamento nello spazio prossimale tra un passato e il futuro possibile. Prendendo spunto dal concetto di Vito Mancuso “non c’è senso senza consenso” in quanto il senso della vita scaturito dal mio consentire ad essa ed alla possibilità nella libertà di scegliere il significato dell’ agire nel mondo. Integro questa suggestione all’interno della pedagogia in comunità in cui il fondamento nell’ agire sinergico per il cambiamento passa inesorabilmente attraverso il consenso dell’altro ed al significato che nel percorso riabilitativo si struttura nella relazione. Quindi al principio del percorso la domanda è se c’è la capacità di agire la libertà di consentire ad accedere ad un senso rinnovato nelle cose della vita, e se poi c’è la responsabilità dell’ agire in sinergia per il cambiamento con gli operatori. Oppure la comunità può essere solo un luogo di pausa per mantenere intatto il proprio assetto tossicomanico prima di riprendere il percorso nel solco della scelta di permanenza nella consuetudine del consumo.

Buio fitto

Buio fitto dal sapore meccanico mentre si spengono le candele della ragione, oltre ad i rumori dal sottotetto che attivano misteriose immagini, il suono insistente dal di dentro spezza la ragionevolezza del giorno appena andato. Le fonti delle storie non sempre sono floride, anzi in alcuni casi le parole vanno scavate dal sottosuolo e grondano catrame confondendosi con le sensazioni che si dileguano dal corpo inerte. Ho aggiunto un gesto per riconoscermi nell’oscurità e ritrovare la strada di casa, sono solito respirare pensandoci e questo mi riporta nel vivere mentre attorno le cose sconosciute vorticano senza lasciarsi toccare. Questo spaesamento di un luogo che è sempre un altrove riempie la stanza del risveglio di ombre, si sentono i cani che si chiamano attraverso le persiane accostate ed è quasi musica il riecheggiare dei latrati, tutte le mattine si ripete il rito mettendo i vari pezzi nei luoghi appositi per formare il piano della realtà. La curiosità fa girare la ruota dei muscoli che stendendosi taglia l’aria e si fa spazio occupando la posizione nella presenza di un nuovo inizio, un aroma di miele e caffè si fa strada mentre l’immaginazione continua a restare nella coda delle ultime immagini sognate. Citando Galimberti Umberto:” Nell’età della tecnica, la cui razionalità prevede il raggiungimento del massimo degli scopi con l’impegno minimo dei mezzi, la responsabilità non riguarda più il contenuto dell’azione, ma la modalità della sua corretta esecuzione in termini di efficienza e produttività che sono gli unici valori riconosciuti dalla tecnica”. Per cui oggi quando indichiamo quale responsabilità assumere nella realtà cosa stiamo chiedendo alle nuove generazioni:”essere esecutori come cose tra le cose o ripercorrere le tappe dell’essere escludendo le cose che sono il motivo della realtà della tecnica”. Sganciarsi dalla mortalità può indicare la via verso il superamento della volontà di potenza, essere in eterno non ha bisogno di imporsi ma basta stare nelle infinite colorazioni del mondo. Rincorro i pensieri cercando di sovrastare il corpo che si contorce sempre più spesso nelle pose del dolore o caducità, il rimorso di non essere più scattante nella vicinanza come padre e marito ma distante nella nebbia che avvolge il tramonto con le sagome che all’orizzonte si spengono come le lucciole all’alba. La responsabilità mi veste come un cappotto troppo pesante per la stagione, e nonostante questo il freddo permane dal di dentro ormai padrone delle ossa, la responsabilità che ormai ha abbandonato il mondo per lasciare che inizi lo scannamento per le risorse prime ormai scarse per tutti, la responsabilità che ha portato i pochi nel decidere per tutti in un disastro mille volte annunciato e ora presente. Oggi siamo presenti come nella finzione di una realtà reale in cui gli indici della conoscenza sono le creste emergenti dell’informazione, orchi e lupi mannari o vampiri possono girare tranquilli se non attenzionati da questo fiume in piena che è la parola gridata. Salto un pezzo della lezione per rischiare di finire nella risacca degli ignorati in cui tutte le Galee corrose dal tempo giacciono abbandonate testimoniando il nulla della assenza, ora che solo mi arrangio a vedere dove la potenza degli umori gira la ruota della potenza. C’è ancora Dio che diviso in bene o male si gioca la partita sul terreno della mortalità, dove le passioni contano qualcosa e permettono il gareggiare. Sono solo frasi brevi in cui ricucire un senso di qualsiasi storia per il gusto di raccontare piccole chiazze su un muro in abbandono, in quelle periferie dove abbondano fabbriche abbandonate.