Significati appesi come grucce

L’insonnia allunga le ombre notturne in magiche conformazioni della mente, mentre ci si dilunga in chiacchiere durante la colazione. Con il sorriso che piano svanisce, riapro il libro dove il punto si stacca. La lettura apre il mondo e seziona ciò che è impossibile vedere con gli occhi; a tratti, lo squarcio sull’altro diventa me stesso. Se ripenso alla progressione del passato, certamente il libro è il compagno costante di una vita, la finestra sul mondo di sopra, su quello di sotto e su quelli invisibili. La parola magica, scritta con l’inchiostro, ha creato la vita nel suo apparire.

Scrivere mentre il fiume placido scorre tra emisfero ed emisfero, o tra orecchio e orecchio, in una landa di sconosciute visioni in cerca di apparizione. In attesa, le cose non dette fremono dentro agli anfratti dove sono contenute a stento e relegate. Così, la scrittura diventa una necessità e una forma di sopravvivenza per non essere sopraffatti dal peso inesauribile del non espresso: una valanga in attesa perpetua di schiantarsi nella presenza inopportuna dell’ignorato, quando, alla luce soffusa di una pausa, il pensiero è sopito e indifeso. Segnare il punto e la linea in un corsivo un poco sgraziato, frutto di una mano ormai dimentica della scrittura con calamaio e pennino.

Il respiro si acquieta nel riposo, mentre fuori continua la veglia sulle significazioni dei gesti che incorniciano la realtà. Vorrei, per un momento, essere esiliato dal peso dell’umano e diventare terra di tutti. Accogliere il legame che ci ha reso orfani di tutto il resto, che prosegue la sua esistenza senza più badare a noi. Le mie mani affondano nel fango in cerca dell’oro o del succo del sapere, che svanisce quando lo osserviamo. È una fuga dalla paura di perire, mentre ancora si cerca tra le macerie ciò che è più prezioso per la vita.

Davanti allo spettacolo delle rocce immobili, mi acciglio un poco per l’ignoranza che provo rispetto alla flebile attenzione che riesco ad avere in confronto. L’agitazione delle persone, in movimento, lascia inascoltate le creature ferme. La giornata inizia con una riflessione piegata dalla breve pausa che, a volte, il pensiero lascia inavvertitamente scoperta nella costruzione del mondo. C’è una ingenua pace nel gioco, forse inesistente, tra un dentro e un fuori, su cui si sono costituiti tutti gli oggetti. Nella giornata che mi attende, niente mi rende felice; eppure, sono pronto ad obbedire alla mia infelicità.

“In effetti, la scrittura che si dispiega sul foglio non ha toni allegri. La mia incapacità di trasmettere un sorriso attraverso le parole mi disturba in qualche modo. La sento come una mancanza o un’abilità non acquisita, e ogni volta che mi viene in mente una battuta di spirito, faccio fatica a sostenerne il significato e così la cambio. Alla fine, credo che ognuno debba fare ciò che gli riesce meglio; questo resoconto non è un racconto, ma piuttosto cento parole da unire al respiro in un piccolo esercizio di meditazione. Il cane, disteso ai miei piedi, dà il ritmo con il suo russare, mentre io mi perdo nel vuoto dei significati appesi come grucce.”

Sono confuso tra il sonno anticipato e un corpo che in questo momento di consapevolezza notturna sembra non voler più muoversi. Una mano scivola lungo il contorno della presenza che da sempre mi accompagna, e la vibrazione invade lo spazio che funge da intercapedine nella dualità. L’amore cristallino, capace di resistere a ogni intemperie, satura ogni spazio intorno a sé, come una foresta avvolgente e vitale. Un tempo è trascorso, rendendo pallida la pelle e schiarendo i capelli, che non volano più con il vento del giorno, ma restano raccolti dal soffio dell’imbrunire.

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