Gettati nell’azione non possiamo fare altro che muoverci in direzione dritta verso quel tratto di visuale che ancora non nitido si va via schiarendo. L’annuncio risuona metallico indicando il binario verso cui dirigersi ed è quasi una consolazione il fatto che si venga comandati, nel freddo dei giorni della merla il corpo si rintana in se stesso apparendo più piccolo e lo sforzo del pensare è gravoso nell’atrio invaso dagli spifferi gelati. Nel quotidiano abitudinario percorso verso il lavoro ormai negli anni diventato monolite del senso identitaria della esistenzialità, da cui vorrei sottrarmi in questo scorcio di vita per rinunciare a tutto vagando in quel nulla di cui la filosofia si è spesa a catturare come se fosse un qualcosa.
Banalità
Cerco di stare un po’ in disparte mentre attorno il giorno comincia a montare nel rombo di motori e scalpiccio, in una traversa in cui l’ombra ha formato una fenditura dove il tempo scorre a strappi lenti. Intorno le luci si irradiano seguendo il gesticolare delle persone mostrando in chiaro le espressioni rivolte a altri in attesa di essere riconosciuti come parte del popolo di appartenenza. Convenevoli mentre si tira dritto arraffando il più possibile dai banchetti che in ordine sparso offrono la possibilità di possedere manipolare e gettare via con non curanza nel mucchio invisibile che inghiotte la vita. La modernità si esprime nelle locuzioni spinte nei vagoni dei treni strapieni mentre il mondo gira intorno a quattro notizie ripetute alla nausea, riducendo la complessità nella banalità di una battuta.
Frontiera
È difficile descrivere le gesta altrui mentre all’interno della storicità degli eventi descritti la maggior parte del senso significativo dello sfondo rimane fuori dalla coscienza. Il racconto è pur sempre una visione miope dettata dalla sensazione di essere dentro un flusso di atti che si compongono secondo l’attenzione. I giovani mordono il freno sentendo che il tempo posa lentamente il maglio della gravità rendendo sempre più difficile l’esuberanza, ma dove lasciare correre i flussi dell’esagerazione? In uno stato di fatto già congestionato da prefigurazioni del capitalismo come ideologia unica e condizionante, quale spazio può essere una terra di nessuno come un tempo la frontiera dove la libertà era il non ancora tratteggiato confine.
Boia e Silente
Nel sole d’inverno tra sbadigli e vapore dalla cucina semi buia si consuma una azione delittuosa, senza pietà viene dilaniata carne e arterie in un crescendo di crudeltà di cui l’uomo è il responsabile. L’atto criminale; meditato nell’ombra, in giornate mistificate da sorrisi, mentre nella penombra del retroscena semi conscio, il costrutto del male si compie. Sono piccoli fatti quotidiani imperlati con pazienza sul filo dell’odio, banalità in cui lo sguardo verso la donna scade a cosa tra le cose. La violenza espressa è una costruzione interna nel divario dell’incomprensione emotiva in cui da semplici umani si diventa vittime e carnefici.
Parla il boia:”vivo sorridendo con rumore dall’età in cui ho capito che potevo essere ferito da uno sguardo sbieco da donna, da quando in disparte ho potuto assistere a discorsi spezzettati, non rivolti a me, l’escluso. Camminando lesto per strada ho imparato l’andatura del chi sa dove andare, lo sguardo dell’indaffarato con impegni cadenzati. Ho imparato l’arte del vedere nelle finestre altrui sostituendomi ad i personaggi nella scena. Così ho appreso il possesso, qualsiasi cosa che viene alla mia portata di mano è mia e solo mia”. Risponde la donna Silente:”il sogno di una stabilità con l’uomo per la vita, nella casa sicura in cui crescere i figli. Il sogno d’essere donna riconosciuta come tale dagli uomini, questo assillo fin da piccola in cui per le femmine l’essere donna passa dall’occhio maschile, e non ci sono cazzi per aggirare lo scoglio, inadeguata se non guardata come donna, e tutto il lavoro e lo sbattimento che gli va dietro nell’apparire Tale”.
Boia:”il potere è una questione di strategia, nel mondo le cose sono fatte per essere prese, non c’è spazio per compatire il perdente. Quando da piccolo il margine era la modalità di sopravvivenza dagli spavaldi, l’astuzia e il mimetismo sono diventati la necessità di sopravvivenza”. Silente:”ho sempre creduto che gli altri condividessero le emozioni senza bisogno di annegare nella disperazione per muovere a pietà gli animi altrui, ma la sordità sentimentale è più diffusa di ciò che il comportamento quotidiano dissimula”.
Alla fine la morte ha chiuso il cerchio delle reciproche rivalse sull’esistenza condannando in modo implacabile il senso delle proprie virtù. Resta un ricordo come tentativo di affermazione del sogno tra possesso e posseduto intransigente nel gioco dell’esistenza. La paura accompagna questi momenti di ombra in cui le parole rivelano sventura, nelle vie d’accesso ad i locali si ergono sbarramenti contro ogni possibilità d’incontro. La peste ha velato i cieli nella violenza in cui le cose sono oggetti da tenere a costo della vita. Non sempre le nuvole sono state scure, a volte nei millenni lo sgombro cielo primaverile ha mostrato la compassione; le parole sono diventate poesia e con essa la musica. Gli amanti hanno ingaggiato danze ed il cuore ha pulsato con il ritmo della Terra. All’inizio la vita per la morte è anche morte per la vita nel cerchio ermeneutico dell’eterno, ed i tuoi occhi ora che non ci sei più appiano come sole nella cella del Boia, afflitto e sfinito per essere vinto dalla violenza.
Boia:“Io il boia senza speranza alcuna, chiuso nel destino della crudeltà per non essermi opposto alle passioni nere della gelosia e invidia, sono come un cancro che da dentro tinge ogni evento trasformandolo nel colore dell’odio. Chiuso nella cella in isolamento merito il biasimo degli sguardi quando per mansioni percorro i corridoi cintati, il giudizio è la polvere che scuote la mia colpa ed in fondo anche il piacere, godimento nell’umiliazione per emendare le gesta omicide”.
Nel riassunto di questa storia ci sono gli elementi che compongono la tragedia nel suo manifestarsi, i generi della specie che lottano per emergere nel distacco dalla radice comune, l’indifferenziato marasma in cui tutto si amalgama e permane in pace verso la differenziazione in cui lo smembramento invoca da se la radice violenta del divenire. Eppure nel fermo immagine dei momenti si intravede una felicità: una passeggiata mano nella mano con il suono delle fronde scosse dagli uccelli che intorno si aggirano seguendo il lembo del vento; un chiarore improvviso; un’onda del mare nel riverbero dal sole del mattino, ancora prima che le cose del giorno si chiarificano, restando circondate dall’alone della magia del sogno non ancora svanito del tutto.
Oppure il lento osservare del pulsare della pelle quando sopraffatti dal torpore si cade nel lieve sonno della soddisfazione; è il momento in cui il compagno diventa un tutt’uno incarnato; al di la delle mura che chiudono e proteggono dal proprio pensare si smuove un movimento di arti e intenzionalità. Un ponte attraversa potando nella luce i passi fiduciosi di chi lascia l’incanto della sorpresa per abbracciare il solco dei sensi resuscitando l’ideologia della salvezza, e ancora la piazza si adorna delle proclamazioni gridate nella drammaturgia delle emozioni. Il canto politico risuona sulle mura nell’incrostazione celata in anni di pioggia battente, inno come sirene sparate nel vento per germogliare la rivoluzione dei vinti.
Animali
Mi ritrovo stranito alle partenze inderogabili nel flusso della storia, una successione del divenire che sembra non avere risoluzione. Ci si parla e sente su un terreno friabile che a ritmo continuo poi ti inghiotte, la mortalità forse è tutta in questo svanire all’improvviso lasciando solo una scia che lentamente si spegne. Il barato che si apre è così oscuro che la necessità della fede per chi ancora vive sembra l’unica possibilità per rendere agevole il cammino, allora guardando gli animali mi rivolgo al loro Dio per essere accolto nella loro comunità di cui ignoro il pensiero.
CAP.7
Nel tempo l’affresco dell’estate abbagliante ha nutrito i sogni ad occhi aperti, l’odore di paglia essiccata dal sole ha depositato un senso di felicità per la festa del sabato sera. Amici intorno che sparano battute per rompere il cordone della timidezza, l’altro sesso ancora sconosciuto se non per sommi capi raccontato da ragazzi più grandi.
Uno dei giochi più temerari è farsi il rettilineo principale appeso ad i carri trainati dai trattori seguendo le scie delle rondini. Oppure infilarsi nei depositi di paglia e correre finché non si viene inghiottiti nei punti vuoti, sprofondando come nella neve senza il fastidio del freddo, ma con il prurito della polvere da fieno.
CAP.6
Il paesaggio nel ricordo si schiude in una direzione esistenziale, una sola strada unisce il crescere e il diventare adulti, la casa ed il suo espandersi verso la via principale interrotta da una curva. Ogni tratto della via è segnato da un grado emozionale, nel crescere i sentimenti della scoperta e paura si sono stratificati, abbozzando l’uomo emergente.
Stampato nel solco di un affresco le vicissitudini della vita sono statiche immagini nel profondo del cuore. Per il mio esserci ogni sussurro riporta nella via maestra con la curva a destra verso il rettilineo oltre lo spazio della mia fantasia.
CAP.5
Da qualche parte oltre il mio confine, si incorniciano le terre in razze, l’estraneo diventa tale solo per l’inopportunità di trovarsi da una parte piuttosto che un’altra. Una parola in malinconia si tramuta in luce e poesia mutando l’estraneità in legami verso quel percorso evocato dal segno fuori dal calcolo. La scienza è piccola cosa di fronte al coraggio impetuoso della rima senza regole nel vortice del vento in questo inverno carcerato dalla cupidigia stolta di non volersi togliere il solito colore della pelle razziale.
CAP.4
Non sembra vero come da ogni recondita zona del corpo compaia un segnale da essere attenzionato da pensieri acciaccosi. Risuona la banda delle notizie: incidenti, omicidi, sparizioni, furti, tutto viene dato in modo indistinto al suo accadere come il caffè al mattino, non c’è un dopo perché sarebbe già noia. Per rompere la routine bisogna stare sulle cose con lentezza, senza la fretta che si deteriorano, anzi aspettando pazientemente che si faccia innanzi il senso autentico dell’essere.
Nella cucina il colore della crema al mascarpone prende il sopravvento riportando nel magico mondo della festa i presenti. Frasi lanciate in corsa nel sostenersi l’un l’altro in quel sistema della fratellanza che ci rende umani. Il cuore può diventare pietra se continuamente minacciato nell’ostinazione della performance adeguata sempre per qualcosa d’altro. Nell’intimità la confidenza e la crema per il pandoro fanno la differenza tra la solitudine e essere amati, giorno speciale quando il nido si chiude a protezione ed ognuno si sente dove deve stare.
CAP.3
Il mondo delle idee nel sovra mondo immutabile raggiunto solo dai lamenti dei penitenti nelle processioni natalizie. Nel Medio evo solcato dal fango con calzature di cuoio grezzo, dalla infame sporcizia dei molti, alle vette in forma di cattedrali gotiche per pochi con accesso agli scritti degli amanuensi. Sparare a caso teorie è come cercare di fare un collage con i ritagli dei sogni mentre svaniscono nel sopraggiungere del mattino, è un gioco divertente per sopravvivere alla propria serietà, disincanto della vecchiaia quando solo la paura dei dolori è un assillo costante.