La terra dalla parte estrema del nord sfiorata dai venti sibillini fino a oltre il crinale estremo, dove nessuno può restare; uomini e donne si stringono in alleanza senza differenza di genere nella curva protetta dalla foresta che solca il confine con le alterità ancora sconosciute. In questa radura il pensiero è tutt’uno con l’azione non essendoci uno spazio per la riflessione silenziosa. I cieli di notte sono solcati da scie luminose che sfrecciano nelle direzioni più impensabili, per i nativi sono gli occhi della natura che ritorna sul proprio operato per goderne e rigenerare ciò che invecchia. L’immediatezza fa si che la gente si esprima con tutto il corpo verso gli altri e le cose rendendo le forme umane massicce e dotate di callosità, situazione in cui non esiste un pudore se non il limite imposte dal dolore che difficilmente viene raggiunto.
Gli oggetti del mondo
Gli oggetti del mondo restano così come sono appesi ad i rami della comprensione lasciandosi toccare contaminando la volontà di cambiarli, e al di fuori rimane la descrizione di quel che succede fino a quando diventa oggetto di un’altra comprensione. Al solito si gira un po’ in tondo quando si vuole arrivare alla fonte di una qualsiasi questione come se da sempre c’è una strada preclusa e quel paesaggio resta velato per sempre. Il ritornare spesso al suono delle parole è un richiamo alla vita quando assopiti si finge di morire, come oggi mentre chino sulle ginocchia ritrovo il senso del respiro. Sono brevi esercizi che non hanno nulla di performante ma sollecitano le parti a riconoscersi in un corpo che invecchia con le cose intorno a se che mutano nella stagione propria. Febbraio è un capriccio che dispensa voglia di ricominciare mentre per le vie si riempie di formalità e desiderio di restare di più a guardarsi in giro come ad un risveglio.
Ritornare
Ritornare sempre in dietro con fare goffo e cupo nella preposizione annunciata è mai sciolta nell’aria come suono, è questo strano atteggiamento, che a volte mi prende all’improvviso, lasciandomi disarmato di fronte al muoversi tra le cose. Ebete sto fermo a guardare il passaggio degli eventi rallentati dalla flessione del tempo come in una distorsione ottica in cui l’ondulazione intacca la fissità degli oggetti. Balbettio verso l’azione che non viene in soccorso, anzi il rossore del viso accende quel senso di nudità che so lo nei sogni si palesa come immagine cruda di vergogna. Ci sono dei termini che ci distinguono perché il suono della parola si adatta alle espressioni del volto e nel tempo scavano le rughe che per ognuno sono una caratteristica della diversità o individualità. Il discorso che si dipana nel balbettio del pensiero è un tentativo di superare la chiacchiera per giungere al cuore della sensazione che si riverbera nelle congiunzioni infinite con tutto ciò che è natura. I termini del discorso tra le molte componenti dello stesso io, sono a volte conflittuali, con scaramucce che accendono scie di discussioni in un giro ampio che poi torna su se stesso. Camminare contando i respiri permette di tacitare il brusio della pressione sociale sul dover essere qualcosa o dover fare qualcosa. Di traverso al mondo di superficie mi infilo nella cavità sotto il livello dell’attenzione per stare in compagnia di tutti quelli che umani e non stanno fermi baciati dal cielo che irrompe e passa via nella velocità in cui viaggia la Terra. Si rimane oziosi fermi nel silenzio che urla al di sopra delle teste chinate mentre le particelle schizzano via; un mantra leggero si fa eco sulla strada di casa mentre la solitudine si chiude la porta alle spalle.
Stranezze provinciali
Stranezze provinciali si trasmettono oralmente con piccoli accenni nei luoghi d’ingorgo abituali, ritualità che si ripetono nel quotidiano rinsaldando il patto tra umani che nel tempo sembra scivolare in direzione ignota. Forse una guerra o l’ennesima carestia o l’annunciazione della fine dei Tempi, sono echi tragici che tengono la vita nel suo valore a monito per non scordarsi del dono di gustare della natura. Nel vano sotto il filare delle case popolari i gioghi sono cambiati in rabbia espressa con cattiveria, fare del male non è più una opzione distante ma ha preso il posto della riflessione, si misura lo spazio con la capacità dell’occupazione in un crescendo di torti che stratificano il detonatore del male.
Le solite litanie
Le solite litanie nell’esplorazione quotidiana nella media delle chiacchiere che vanno in rete e si ricompongono in un collage che plasma la realtà urbana in un unico soggetto. Dentro ognuno al proprio dire si snoda il percorso quotidiano dello shopping aderendo al costume del dire di molti, esausto cerco riparo in qualche luogo oltre quel fronte che è l’essere riconosciti per stordirmi nel suono di un trombone in una fumosa bettola appartata. I suoni incidono una scala dentro lo stomaco alterando la ristretta percezione della realtà, aprendo il luogo dove il mondo in ombra appare per svelarsi nell’intimità individuale. Ci sono le testimonianze di uomini che chiusi nel guscio della vulnerabilità con matite ripercorrono i sentieri della storia, ricalcando eventi rispetto ad altri, riconsegnando al popolo un canovaccio su cui illudersi del vero mentre la carne si appassisce al bar del proprio quartiere. In quanto alle relazioni si sfumano in questa via tratteggiata di storia in modo che l’importanza è nel trovarsi nel punto giusto del tratteggio rispetto ad altri più sfumati o privi di segno. Sono solo riflessioni nella giornata ventosa con il sole che risulta più abbagliante tra le raffiche e la stranezza del corpo che si smaterializza un poco in giornate come queste apparendo inconsistente nell’ incalzare verso il proprio destino.
La tecnica
La tecnica sta trovando la sua strada tra gli umani mettendosi a capo dei cambiamenti, in un futuro da nuovo condottiero verso quel sogno di potenza e controllo che è il punto debole del pensare. Si frantumano le onde sulla battigia suonando il corno del vento nella musica profonda dell’inverno, solo pochi riescono ad ascoltare il richiamo alla vacuità, spogliandosi di ogni velleità verso un futuro che rincorre il proprio passato. Le scavatrici vicino casa sono all’opera in questa atmosfera cupa da pandemia in cui le basi della sicurezza sono demolite dal dubbio, il terreno viene rivoltato nello sforzo di far sembrare nuovo il vecchio, così da entrare in uno stato d’animo da rinnovato auspicio. Un po’ in tutta la città brulica l’affacendarsi nel rinnovare facciate alle case, palazzi e strade con le loro piazze; mentre la gente cupa passa via veloce nelle vie come se il domani fosse stato strappato dal senso dello cose. Nell’inverno di questo febbraio il sole splende come d’estate rendendo l’aria secca e faticosa al respiro, ma regala un orizzonte allo sguardo da oltrepassare l’angoscia del presente.
Penso che
Penso che l’uomo conosca già tutto, dall’inizio alla fine, il proprio giogo ma la dimenticanza rende la fattualità più drammaticamente romantica. Nulla è sparso come cenere invano nella mortalità che non ritorna alla propria casa, il cielo stellato ci fa ombra nelle ore in cui ritroviamo con i nostri antenati per abbracciarci e toccare la terra che sostiene le nostre intenzioni. I nostri giorni sono anche i giorni di tutti gli altri che non vediamo o sentiamo ma ci sono per sostenere l’arabesco che fluttua e connette il senso delle cose da dire. C’è il sole oggi che spinge il freddo all’angolo e lascia che le cose si espandano nei colori migliori, sono queste le chicche dell’inverno quando pone pause al rigore per lasciare che la carne ritrovi il sapore dell’amato.
Camminare
Camminare con fare lento mentre altri rincorrono i pensieri doverosi, negli incroci dove l’inclinazione degli sguardi è fugace, solo un attimo per un ricordo sfumato nei secondi a venire. Metropoli di vetro nello snodo del capitalismo verso la nuova creatura della bio tecnica, un legame più stretto tra enti orfani dell’essere dell’ontologia. La poesia è nel confine nascosto dallo sguardo, sollecita all’inconscio la verità dell’immutabile. Nella mia terra color dell’ambra risuona la musica dei contrabbassi schierati come soldati, le note rintoccano i cuori dei vecchi gladiatori del mondo tramontato dal lato oscuro del pensiero.
Il giocatore d’azzardo
Cammino da giocatore d”azzardo per carpire l’anima del tempo, su i muri si mostra i sintomi della razza padrona. Nell’occulto il dialogo con i morti ancora vivi nell’eterno apparire necessario alla costruzione dei possibili mondi. Il ristoro del cercatore tra gli arbusti del parco pubblico mentre altre traiettorie si snodano veloci. Orbene Il mestiere che faccio a volte mi stringe sulla pelle, provocando eczemi di varia fattura. Fragile oscilla il mio sapere le cose, le quali mutano senza padronanza ma in modo casuale, lasciandomi sgomento senza parole da pronunciare. Cerco nel casino un costrutto da porgere in una serata sulla miopia del nostro essere: come siamo, come ci aggreghiamo, come chi la sa più lunga vince, come possiamo uscire da noi stessi. Vorrei indagare su i fatti occulti, quelli che nessuno vede come tali, ma vede come lievi increspature sulla superficie dell’aria, incolpando un malessere passeggero per l’attimo di sgomento. Vorrei il mio corredo da pistolero come quello cha da bimbo guardavo nelle cartolerie dentro ad una reticella rossa con annesso distintivo per presentarmi alle ombre scure con tutti i carismi della buona creanza, salutando e conversando nella ricerca del fatto delittuoso, un fatto che si pone distonico nell’assembramento delle opinioni sintoniche umane, fatte per mantenere una continuità al senso del vivere nel tempo.
Nel silenzio
Nel silenzio della casa immersa nella penombra, solo voci distanti dal tempo permango in questo mare immobile, dove le parole non si compongo secondo i significati. L’impercettibile movimento risuona come una cosa certa, ma il mondo rimane immobile. La gravità quantistica diluisce l’esserci in probabilità confondendo gli aggregati in vibrazioni ed il segnale non passa per avviare la sequenza del ciclo circadiano. Da fuori, una luce penetra, fissando una circolarità nel quadrante destro del campo visivo nell’incespicare delle ciglia colgo l’attimo nel lieve spostamento sull’asse del mento per ritrovarmi smarrito in un altro mondo.