Ascoltando il divenire

Ascolto le storie altrui mentre la mia continua a scorrere nel divenire, e…a tratti mi chiedo: se la narrazione coincida con la vita del momento presente, ma, forse… d’altronde ascoltare è il mio mestiere non posso fare altro, incastrato nell’ identità mi dibatto come una tartaruga girata sul carapace. Aspetto la sera mentre i racconti di molti continuano a sedimentare nel solo brusio che conosco per nascita. Ti ritrovo accanto mentre già perso avrei lascito la Terra ad altri, ma come sempre mi riporti a casa tra le cose che venendo incontro ci sorridono e piangono dentro ad i nostri corpi inseparabili. Una unione che permane nella traiettoria data all’inizio in modo che le promesse abbiano ancora valore in una cornice nichilistica dove il nulla viene entificato per dare ragione alla potenza distruttiva che trasforma le cose per volontà del poter farlo. Cammino con chi ascolto nelle terre desolate nell’evocazione dalla memoria, sistemando qua e là dei fiori per fare germogliare il colore dalla tela ancora arida, un lavoro contadino che per chi studia la pedagogia gli si addice come le toppe alle ginocchia nel lavoro ricurvo verso la Terra. Oggi lo sbraitare dell’ ignoranza si insinua tra le mura e rimane incollata all’aria che si respira, è un mestiere che non lascia possibilità, si è prigionieri delle parole che usate a sproposito riempiono la memoria inducendo un piano della realtà che si inclina al rovescio rispetto alla luce del giorno. Al solito fermo in postazione evito gli scossoni contando le minuzie che nessuno può vedere, piccoli indizi che si sgranano nella penombra nel ciclo dell’andare e venire della luna. Può essere paragonato al lavoro di investigazione con lente riprese del quadro probatorio e repentini inabissamenti nella palude delle cose smarrite, per poi ritrovarsi con soluzioni a portata di mano. Ricercare scavando nel fondo delle supposizioni per svelare un poco alla volta l’intenzione che mai per prima spunta nelle forme della descrizione dei corpi, la natura di una diagnosi emerge poco alla volta mischiandosi con la narrazione e fantasia degli attori in scena. Sarabanda nel rimbalzo dei suoni antichi e dal legno dei vecchi strumenti si sparge l’aroma dei sogni quando nella foschia della sera si balla e canta mostrandosi per quel che si è senza la pesantezza dell’ente. Nel dubbio rimangono solo le farfalle che per il giorno dopo non ci saranno più nell’ effimero mondo della vista, ma per chi scruta l’eterno si ritroverà con il battito d’ali sulle ciglia del baratro.

Si ritorna per sentieri

Si ritorna per sentieri conosciuti dalla montagna quando cala dall’altra parte del mondo il sole, ascolto le notizie che lanciate all’aria sedimentano nei comportamenti e mi faccio una idea di quel che succede. Ruota tutto intorno alla mortalità ed al senso del nulla, che in questo tempo ha acquisito un potere enorme su un intero pianeta o quel che vediamo di Essa. Cammino nello sterrato colmo del rumore di questo o quel fatto che appena successo dilegua in altri più contingenti che appaiono alla fine uguali, incrociando altri con un saluto ed ognuno per il proprio declivio verso la meta o il ritorno. Una festa ferma per un attimo il suono continuo del lavorare e con calma si può tirare il fiato, la città in questo momento preferisce il rumore del camminare e essere guardata nei luoghi dove ci si può fermare a chiacchierare o guardare altri che fanno le stesse cose. Indisturbati i piccioni sembrano più pigri e diventano restii a spostarsi mentre fissano il punto bilaterale davanti a loro, sono una presenza costante nelle uscite o semplicemente quando ci si ferma con qualcosa da mangiare in mano, non è ben chiaro di chi sia il territorio mentre ci si scansa perdendo la proprietà. Ci sono persone che rimangono nella mente per il loro carattere peculiare, spingono a ricordare quando è importante cambiare passo al presente, si ricordano le battute ed i sorrisi evocando i momenti in cui per un attimo ci si è sentiti bene. Un amico che ora non c’è più perché andato oltre quel confine in cui il corpo non può superare, ho condiviso il sentire le sensazioni in quel modo particolare che rende gli umani vicini nel guardare le cose e esporle all’essere. Tornando verso casa mi riporto il senso di appartenenza ad una generazione che sulla via si sta per spegnere, anni divisi da un cambio secolo che nel pronunciarlo sembra una vertigine, un malessere che prende dalle vie respiratorie e schiaccia il diaframma in uno spasmo di ansia, come i pesci abbandonati nei cestini da pesca senz’acqua dai pescatori incuranti. Quindi tornare a casa è saltare da un secolo all’altro con la chiarezza che nulla è cambiato, il calore prodotto dalla confusione e dalla malvagità rimane intatto nel suo dispiegarsi e a tratti mostra lo sterminio a cui la mia generazione aveva solo letto e visto nei filmati d’epoca. Parlare è diventato un esercizio faticoso in quanto le parole si trasformano in gomma amara e pesante rotolando fuori dalla bocca non spiccando più il volo ma spiaccicandosi a terra, rivoltando lo stomaco per lo sforzo, e a volte cerco dì raccoglierle dal suolo, ma si spiaccicano tra le mani colando con pesantezza spinte dalla gravità, quindi mollo il colpo e taccio nelle passeggiate vere e finte che mi restano da fare nelle vie che ho scelto per chiudere il mio secolo. Un saluto, un sorriso sono rimasti intatti per cui nel tacito pellegrinare è possibile incontrarsi e per un attimo rispolverare l’affetto di cui l’umano è capace.

Si improvvisa

Si improvvisa scivolando sulla tastiera innescando una lotta con i tasti che non sempre sono docili all’intenzione, i suoni colpiscono gli oggetti rimbalzano come palline magiche e ritornano alle orecchie in forme capricciose, è a quel punto che l’animo smuove sensazioni e l’oscillazione dell’umore segue il battito del metronomo, una lenta eccitazione accende le dita in trilli ed acciaccature per poi scivolare in un mare denso fino alla riva oltre il mondo. In questa stanza si articola la maggior parte del pensiero e dalle pareti gli appunti pendono in ghirlande annodate con parole mischiate a silenzi rarefatti e mai assoluti, attingo la punta pastello nell’inchiostro delle vene in una delle tante piaghe aperte disegnando nell’aria il contorno degli occhi amati, per ripetere per sempre il gesto del vivere fino ad oltrepassare la notte mano nella mano con i corpi antichi e avvizziti dal vento. Intorno a questo letto si sta spegnendo anche questo maggio con l’instabilità di un ragazzino che non trova il gioco giusto, stizzito butta all’aria ciò che si trova davanti, piangendo per un nulla nell’inconsapevole ignoranza della caducità, è quasi fastidiosa questa esuberanza sfrontata in tempo sprecato in capricci e lamenti. Mi stanco facilmente dal rumore per cui mi trovo a chiudere il corpo alle sensazioni per navigare nel lago interno con fate e maghi ancora presenti in questo tempo dominato dalle macchine.

La cronaca

La cronaca spinge su corridoi collaudati in una sottolineatura della narrazione in cui il flusso sia il più possibile contingente, è come una sagra di paese la circolazione dell’informazione continentale, da una parte fa supporre la vastità del territorio e dall’altra lo spettegolare intimo della vicinanza. In sostanza il mondo è una area sconosciuta fino a quando non ti sorprende nell’evento inatteso, oltre il buio ci sono molti altri occhi che guardano il buio, l’inconscio è solo un modo per descrivere l’ignoranza. I corpi a zonzo nei centri commerciali cercano una intimità mediata e una dose d’attenzione che per un momento renda giustizia all’esistere, la mortalità racchiude la speranza in un sogno effimero, fugace, come un vento già passato. Anche questo maggio sta per chiudersi ed oggi è quasi freddo nello scuotimento del temporale che brontolando emerge dalle profondità per dire la sua ad un mondo che tira dritto senza altra possibilità che essere spettatore degli attimi che riesce a cogliere. I fatti sono piccoli fuscelli accostati e legati secondo un umore ed in questo modo si possono costruire racconti, come una camminata sulla spiaggia mentre in un altro verso una battaglia sconvolge una città, non c’è un tutto che lega il senso, ma è il disordine il collante dell’attenzione che in qualche modo ci tiene vigili alla realtà. Ritornare continuamente a se per dare un seguito alla memoria dei fatti che si svolgono intorno, le auto che sfrecciano, la moneta che cade, il richiamo di una madre, il semaforo che lampeggia; tutto si muove oltre il limite minimo verso un massimo del mio stesso camminare, mentre lo sforzo del mettere insieme si concretizza in pensieri in apparenza fluidi come lo scorrere di un nastro. Dentro al parrucchiere con la porta aperta escono le voci che rievocano gli avvenimenti del quartiere, alcuni luoghi topici sovrappongono significati ad i fatti, per instradarli nel flusso del raconto che la gente poi riconosce come appartenenza. La storia del mondo quotidiano che sopravvive sulle consuetudini di prossimità, un indizio che porta ad un altro, poi ad un altro, e via fino alla rassicurante situazione della familiarità. In lontananza altri quartieri costruiscono la quotidiana presenza in una espansione progressiva fino al limite in cui si ritorna nel punto da cui si è partiti, in questo mese la novità sono gli estremi della meteorologia oscillante tra inverno ed estate come un bipolare che rifiuta ogni terapia stabilizzante.

Una continua corsa

Una continua corsa per rimanere in equilibrio tra cielo e terra mentre intorno si sgretola l’immagine consuetudinaria fissata dai ricordi, ancora dopo tanto tempo è difficile capire come funziona questa modalità di essere se stessi e non altro. Mi alzo per chiudere le ante in legno per il sole che già si fa prepotente e si vuole prendere lo spazio in cui me ne sto acquattato, è un mese senza acqua che prefigura catastrofe mentre tutto continua senza riflettere che così non è più possibile continuare, adagio riscuoto un significato a questa luce che richiara il mio modo di vedere ziglinato le cose fisse della natura. Una città la mia che sonnecchia nelle imprecazioni e a volte fa la voce grossa con il pericolo lontano, ma quando soffre veramente lo fa privatamente in un quasi senso del pudore per le piaghe esposte, la tradizione che cerca di mantenersi nonostante il mischiarsi delle razze con in testa paesaggi estranei, un tentativo a volte puerile di mantenersi nell’ identità antica. La frenesia con cui viene percorsa nelle vie non lascia scampo al mutamento che inesorabile si stratifica nelle consuetudini e nel linguaggio che contorcendosi si adatta come un vestito del mercato in saldo. La città che chiude la sera con il ronzio degli ultimi venditori di fiori che stanno al semaforo come le collezioni di francobolli nell’album apposito, e per chi sa guardare dai marciapiedi spuntano i passi di chi non c’è più ma fatica a lasciare questo mondo per le altre possibilità. Si chiude il cinema all’aperto per aprire le danze della notte dentro ad i luoghi semi bui per privatizzare le moine che sono uguali per tutti ma nell’ombra tutto diventa unico.

Fine settimana

Questo fine mese ribolle come un braciere riportando la temperatura nel confine delle cose sfumate e per certi versi abbaglianti, i vortici dei colori si confondono nelle strade dove le auto si allontanano sempre da un punto, mentre un grumo del codice del pensiero rimane fermo sorpreso dall’avanzare del caldo. Sono tanti i segni che dipingono il senso cosmologico di maggio incarnando le antiche leggende, in cui fine e inizio combaciano nella storia del lignaggio padrone del fuoco fatuo del potere dei mortali. È verso il tramontare che il raccontare viene raccontato ad i novizi e l’inizio è sempre una descrizione della natura ispessita e grovigliata nel crescere caotico nella libertà di essere ciò che gli pare. Poi appare l’eroe senza nome che svelando il segreto getta nelle orde dei regolatori del tempo la natura spezzando il caos, ma ad ogni buona fine anche l’eroe si toglie dai coglioni, e resta il lignaggio ad ancorare le navi nei porti. Mentre si fa notte si ricompone il cerchio e stringendo un po’ i ranghi si aspetta l’alba cullandosi nei sogni che senza confini attraversano ognuno con tutto il resto annesso.

Alla fine della notte

Alla fine della notte la prima parola da dire mentre ancora spaventati si scrolla le spalle dalla superstizione, è:”rinascere”, tutte le volte mentre dal buio ci si sposta sulla terra del giorno dove l’uomo ha deciso di vivere. Pantofole rintoccano verso un senso dell’abitudine mentre seguono i rumori del mattino, odori noti per ritrovarsi nel senso di se senza ombra di dubbio, la paura di risvegliarsi in qualcos’altro è un tremito fugace ma reale. Quindi nelle abitudini si svelano le conferme e tutto si rimette a posto, quasi un sorriso per un attimo mentre altri eseguono le stesse operazioni in confini diversi ma in fondo uguali. Al confine estremo si iniettano sogni nei corpi stremati dal logorio dei pensieri che circolano nel senso inverso della pace, ed è così che nella vecchiaia si mette in atto la guerra dove i giovani in maggioranza muoiono. C’è sempre una guerra o carneficina con distruzione di cose ed animali, non si fa caso al contadino che piange per le sue mucche colpite da un mortaio, è insignificante per lo spettatore che lo guarda da una siderale distanza, commentando come se fosse uno degli spettacoli possibili. Dentro a queste viscere della cultura europea strappate da cani inferociti si possono trovare le parole nascoste per comprendersi, parole significanti ancora non dette che possono smuovere la sensazione di pietà per avere percorso il sentiero della barbarie. Un amico lontano non guarda dietro di se mentre il fuoco brucia la sua casa, tira innanzi come un mulo verso un altrove e forse ricordando il mio posto mi corre incontro aspettandosi un sorriso. La logica di un incontro tra persone fatte di carne in cui il suono ed il borbottio e l’odore rendono reali gli istanti, in questo adesso non più scomponibile avviene la relazione che si sgancia dalle maglie del tempo e risuona la musica dei classici mentre intorno il mondo dorme.Questo fine mese ribolle come un braciere riportando la temperatura nel confine delle cose sfumate e per certi versi abbaglianti, i vortici dei colori si confondono nelle strade dove le auto si allontanano sempre da un punto, mentre un grumo del codice del pensiero rimane fermo sorpreso dall’avanzare del caldo. Sono tanti i segni che dipingono il senso cosmologico di maggio incarnando le antiche leggende, in cui fine e inizio combaciano nella storia del lignaggio padrone del fuoco fatuo del potere dei mortali. È verso il tramontare che il raccontare viene raccontato ad i novizi e l’inizio è sempre una descrizione della natura ispessita e grovigliata nel crescere caotico nella libertà di essere ciò che gli pare. Poi appare l’eroe senza nome che svelando il segreto getta nelle orde dei regolatori del tempo la natura spezzando il caos, ma ad ogni buona fine anche l’eroe si toglie dai coglioni, e resta il lignaggio ad ancorare le navi nei porti. Mentre si fa notte si ricompone il cerchio e stringendo un po’ i ranghi si aspetta l’alba cullandosi nei sogni che senza confini attraversano ognuno con tutto il resto annesso.

Mi ritrovo a ruminare

Mi ritrovo a ruminare in una linea discendente lasciando alle spalle propositi di gloria, è un sole opaco che mi sta d’innanzi perso nel cielo o nel chiarore indistinto che confonde i contorni. È un giorno come un altro nella platea del tempo mentre altri si destano in percorsi divergenti come lo scartare di lato di un gatto in apparenza senza un significato, mi accuccio nella tana mentre la buriana stride nelle vie e piazze della cittadina persa nella campagna. Con l’età la corsa sembra un lontano ricordo, per cui stare fermo non è l’ipotesi più nefasta, permanendo nella lentezza altri sensi si emancipano lanciando scorribande in luoghi inesplorati e riportando sensazioni che a volte fanno sanguinare le ferite antiche. Mi ricordo di te che te ne stavi in disparte paurosa mentre i tuoi occhi veramente enormi scrutavano dalla penombra un me bambino forse ancora in braghe corte, in quel luogo e enorme fatto da soffitti alti e odore di disinfettante, un fermo immagine lungo una vita in cui la direzione del vento ha imposto delle scelte e ora nella cuccia anziana ritrovo il vecchio sapore passato.

Ritornando a casa

Ritornando a casa le serate di maggio sono ancora chiare con sfumature di rosa ed il mio tragitto sempre uguale cambia di volta in volta nel colore delle sensazioni, un tornare che ha il significato di andare verso una radura sicura in cui racchiudere il senso delle cose udite. Piccoli passi rintoccano da dietro nel presagio di un incontro o una conversazione per sancire la presenza in uno scorrere che non lascia segni o individualità, io che girando di lato sposto il mondo nella forma del verso che miro per farne una mia particolare versione che nell’attimo che appare svanisce nella mia incredulità. Sparando cazzate a volte mi ritrovo a riflettere su qualcosa che sta fermo e resiste alle intemperie, una idea che si fa cosa per emergere dalla radura ed entrare nel cono di luce dell’essere, ma una volta che la cosa diventa cosa mi da fastidio perché occupa spazio e vorrei che non fosse mai emersa. Tirandomi matto continuo il percorso se mai ce ne fosse uno per dissolvere le cose, ricacciarle nell’inapparenza fuori dal cono e forse fuori dai coglioni. Seguendo la linea del non senso provo a trovare lo spazio libero, quella libertà di scelta che sembra del tutto assente nel pensiero d’Occidente, più l’idea di libertà è sbandierata più diventa il luogo della tirannide.

Scorciatoie

Le scorciatoie si sprecano nella diffusione delle informazioni gridate a gran voce come verità sputate, dentro ad un turbine di potere per il potere, o di avidità per il possesso. Non si trova nessun lumicino acceso nella casa delle favole dove la verità si è rifugiata travestita da vecchio mendicante con coperte di cartone ed alito da vino un po’ scadente, da quelle parti anche i circensi si sono persi da quando il mondo ne ha snobbato la semplicità per rimpiazzare al loro posto il furore spettacolare della tecnica. Nelle piazze false ricorrenze festeggiano una storia rimaneggiata ad uso del presente, piccoli soldati di pezza mostrano grossi cannoni di metallo forgiati con il sangue dei pacifisti unici indefessi lavoratori che sentono con il cuore il pianto dei propri figli. Appare nello sfondo il vero fattuale per quel singolo sguardo ma basta una lieve torsione e lo sfocare delle verità è ineluttabile come a fine cena i visi presentano la noia della pienezza. Di certo passeggiare tra i fogli bianchi è un esercizio di spaesamento che se non tenuto a bada porta con se una scrittura febbrile, un buttare lì forme che si compongono come pensieri nella casualità del tempo.