Dentro ad i presagi che si paventano nella forma dell’acqua ghiacciata oltre il tempo delle glaciazioni, sono iscritte le leggi per le future generazioni nel rispetto della loro Terra consumata dal passato in cui ha dominato il calore. Scivolando nelle infinite variazioni del bianco uomini si spostano cercando il nutrimento per i piccoli che crescono quasi cechi per il bagliore del sole. Una giornata sul confine esterno è l’avventura della conoscenza con incontri fatati di esseri da sogno da ricordare poi nel resto della propria esistenza.
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Episodi
Episodi o grumi di accadimenti si cristallizzano davanti agli occhi ad un palmo dal naso, risentire le voci che in qualche modo hanno prodotto ferite, e rammaricarmi di come ho lasciato ogni volta la guardia scoperta, in modo che il male è penetrato offendendo il mio esserci. Vorrei indossare l’armatura in modo perenne, ma con quale costo, se poi non sentirei più nulla, anche ciò che amo. La difesa è parte della guerra ed il linguaggio è costruito su questa dinamica, la pace è un luogo del silenzio dove la libertà si trova nella zona tra gli essenti.
Gesti quotidiani
Sono i gesti quotidiani come: infilare gli zoccoli per arrancare verso il bagno, o farsi il caffè nel solito modo, o aprirsi lentamente al giorno sorto con i rumori del fuori nella città, che ci si organizza. “Infatti c’è sempre da qualche parte l’asfalto da bucare”. Gesti che poco a poco nella memoria stratificano l’identità in modo solido, quasi fosse un oggetto da soprammobile in mostra preventiva, anticipando qualsiasi processo relazionale. Nella vecchiaia sorge spontaneo il dubbio se a condurre il gioco della azioni quotidiane siano le sequenze abituali oppure se ancora la volontà agisce un qualche controllo, inserendo guizzi di creatività nella trama consueta del giorno.
I giorni
I giorni che passano lisci senza sbavature non lasciano increspature nell’invecchiamento del corpo e mi ritrovo a pensare che il senso delle cose scivola via come l’acqua di questo rubinetto mentre cade sui resti della cena. Trovo i gesti di sempre ad attendermi poco prima che succedano in un filare di successioni in apparenza necessarie; all’incrocio verso il parcheggio è raro che giro per il verso contrario e mi dispiaccio di questa dittatura morbida che ti accoglie come un figlio e non ti molla più. Sento il cuore battere mentre oltre l’ostacolo ci sono occhi che guardano giudicando l’esatta descrizione della Terra.
Cercare rifugio
Cercare rifugio nel respiro è la mia pratica quotidiana, mi mantiene in questo mondo per finire il lavoro. Ma di fatto mi sento già da un’altra parte, dove la disgregazione dei significati forma una crisalide di luce. Aspetto con apprensione che anche il corpo perda il senso per disperdersi un po’ dove gli pare. “Come stai “? Chiedo a chi di fronte cerca di celarsi in un avviluppamento corporale riuscendo a rimpicciolire la propria stazza, il respiro se ne va restando solo l’essenziale. Risponde:”non so, mi hanno detto di venire, ma io…”, bene siamo al solito balletto, pantomima da umani per coprire chissà quali segreti. In realtà siamo solo degli idioti che nel tempo della scrittura siamo riusciti a diventare sempre più ignoranti, fino alla dimenticanza di ciò che siamo. Forse nel primo scritto in assoluto c’è la nostra verità, ma di certo ne lo scritto ne la verità è più individuabile nella montagna di parole che negli anni si sono sedimentate nei reperti nascosti dalla natura. Tornando al mio ospite gli dico:”respira, lascia che le tue braccia scelgano liberamente dove stare, è tratta la sedia come un trono dove le tue gambe possano riposare, non servono parole per accogliere il proprio dolore ed averne cura”. Risponde lasciando l’ufficio:”forse un giorno ritornerò”. Mi rimetto a studiare parole per cercare quel segreto che alla fine mi faccia smettere: smettere di costruire discorsi, smettere con le parole, smettere con le proposizioni, chiudere il libro per aprire il vento. Rimango solo chiuso nel quadrato di spazio per cui vengo riconosciuto, oltre il quale l’identità sì sbiadisce in molte altre possibilità che ancora ignoro. Il sudore colato via negli anni mi restituisce un dolore sordo, vorrei reclamare un premio ma la fiera ha spento le luci nella sera prima del buio. Sento attutito il rombo del motore, la fabbrica continua a macinare calore e rabbia per far sopravvivere un impianto che aspira all’eternità, da capo il camion dell’ immondizia ripassa nei vicoli ma non riesce mai a completare l’opera, dietro qualcuno butta via sempre la propria vita per dispetto.
Cerco di uscire
Cerco di uscire dal parcheggio ed il casino è sovrano quando si tratta di umani al volante delle proprie ferraglie con la potenza di sterminare intere tribù, ma di fatto c’è ne stiamo tutti in fila ad una velocità da calesse, dentro alla fantasia di razzi stellari. Anche questa è pedagogia, dimostra come sia possibile ad un umano fargli fare quel cazzo che si vuole, e per me è espressione da stress da coda quotidiana per andare al lavoro dove sarò una cornice per le prossime otto ore. Mi chiedo dove vanno a finire tutte le immagini che scorrono tra i neuroni per poi inabissarsi in qualche luogo, nel sogno o anche nel quotidiano spuntano costruzioni che non hanno niente a che fare con il contesto, da dove vengono quelle costellazioni di luci e ombre? Guido al solito contando le respirazioni, aria dentro, aria fuori, sorrido o per lo meno cerco la conformazione del sorriso sulle lebbra, questo per me resta l’esercizio più difficile in assoluto, io ed il sorriso siamo due estranei e probabilmente pensando alla mia storia credo di sapere anche il perché. Ma come tutte le sfide si cerca di meditare sulla cosa più difficile così da confermare la regola di essere una testa di cazzo nel fare uno sforzo dove nessuno te lo chiede.
Ricambio il saluto
Ricambio il saluto con altri in attesa di mescolare storie e affanni nello spazio di una ora, con le spalle rivolte a ciò che mi è recluso. Nello stare nella postazione di lavoro gli acufeni si diradano per lasciare che le parole degli altri si espandano in suoni e immagini per definire il contorno di una storia, la mia funzione è stare fermo per contenere come una cornice. Spesso è difficile capire come il significato di una proposizione abbia quel legame forte che tiene insieme le parole nel senso voluto. Mentre salgo in auto penso ad i libri letti o studiati, a tutta la pedagogia che si sforza di entrare in formule democratiche, ma che di fatto è la forma di potenza più incisiva sul pianeta, educare praticamente è far credere o sussurrare democraticamente una fede comportamentale come una verità. Certo ogni buon pedagogista compreso me stesso crede di essere in buona fede, ma appunto la fede non c’entra nulla con la verità.
I ricordi si aggrumano
I ricordi sì aggrumano attorno ad un pensiero fisso rendendo difficoltoso uscire per la strada di giorno nella fretta degli altri. Quindi tirando il tempo negli angoli bui si attarda l’evento restando immobili come nel gioco a “nascondino”. Per la strada cerco di non avere attacchi di panico mentre raggiungo la meta di tutti i giorni, inspiro e espiro cercando di eludere le parole che si formano non volute, sono i significati che colano attraverso l’immagine a darmi il tormento. Ossa rotte, cranio spappolato, condensa di sangue in qualche punto nascosto, in ogni caso sempre presagi di morte mi si inchiodano come spilli in una bacheca. In questo casino respiro, medito e cammino evocando il sorriso benevolo; non voglio soffrire ma trovare una mediazione con questa quotidianità verso l’incombenza della fine.
Dentro e fuori
Dentro e fuori le circostanze indicano una tragedia inguardabile nella fucina del pensiero che reclama la potenza di cambiare le cose. Nuovi annientamenti all’orizzonte del tempo in cui scade un modo di concepire la socialità, uno scarto nella visione umana verso se stessa rendendo possibile ciò che prima era l’impossible. La frattura parte sempre da lontano non percepita nell’immediato ma niente può arrestare il corso della faglia lungo le generazioni che si succedono senza capirsi e senza memoria, per cui la tragicità dell’evento accade come improvviso. Lasciare gli uomini al loro destino è volontà già tramandata dagli Dei nel loro dichiararsi ad i poeti antichi, in cui solo alcuni eroi spiccano per ridare dignità ad un essere che si dilania nella sua stessa brama.
Torva
Torva è uno dei tanti abitatori della valle, che saldo nel proprio incedere si rotola nel fango della piccola palude che si forma sulla riva del fiume, per purificarsi dalle fatiche del giorno e per un ristoro tra le alghe benefiche del territorio. Torva si scuote quel senso di inquietudine che il tramonto trasporta da oltre la curva dell’orizzonte e lascia che il senso di appartenenza alla terra radica il corpo a tutto l’intorno fatto di solidità, suoni, luci e ombre come in un affresco in cui il tutto è già presente così come è. Tutto è nell’immediatezza per cui il giorno si dilegua in una infinita azione dai colori del vento che riempie la valle, i rumori del mercato risvegliano l’interesse per una comunanza rinnovata tra simili nel cerchio del riconoscimento. Gli abitatori dell’immediato si incrociano nelle vie del villaggio salutando con sguardi e mostrano referenza per chi ha vissuto più allungo, è come essere dentro un unico discorso che si dipana nello spazio dal chiarore all’imbrunire. Si amano in forma radicale penetrando ogni intimità sino all’orlo estremo in cui l’oscillazione ritorna a se stessa. I figli sono di tutti senza che nessuno reclami un primatus o preferenza.