Trovo strano

Trovo strano il vociare continuo come fosse una cantilena per indicare presenze o spazi occupati, l’udito rimane inciampato in una attenzione che governa il corpo verso vie di fuga difficilmente scovate nell’urbanizzazione senza fantasia da contabili del cemento. A stento mi rianimo nell’ombra scolpita tra le mura perimetrali in cui si possono aprire dei varchi con la forza dell’intenzione, un passare oltre dove finalmente il silenzio si posa sulle cose antiche rimaste intatte perché non viste. Un ricordare calmo mentre il passo si fa lieve verso la ricapitolazione della storia che si presenta uguale ad una acqua che scorre indifferente all’affanno di chi ostinatamente non capisce il verso, rubando un bacio all’unico viso amato resto oltre il limite che si chiude nella via.

Imprigionati

Si rimane imprigionati nella bolla dell’informazione paurosa con pochi spazi di aria per respirare, la tragedia ha vestito le case ed i paesi con la cenere del pianto. L’umanità in scacco con i pochi mezzi a disposizione per interpretare la verità, la sudditanza verso la continua polarizzazione dei sentimenti ci rende animali ostili anche a noi stessi rendendo deboli i sistemi immunitari. Il giorno appare come già minaccia di qualcosa e la luce si imbrunisce sotto i colpi della persuasione pessimistica, è un gioco da ricchi tenere una popolazione assoggettata ad una sensazione piuttosto che lasciare che la libertà si esprima nelle esistenzialità. Anche questo mese si apre un po’ cupo e nei ricordi vado cercando quei soli d’aprile che hanno abbagliato le cose in modi stupendi per restare un momento nel non tempo di questo tempo ingarbugliato dalla voglia di annientare le diversità. Ci sono nelle feste domenicali i segni e gli odori delle dolci risonanze dal gusto dello zucchero a velo o della crosta del fritto caramellato mentre da dentro l’animo il giogo rianima il gusto del vivere nella pace.

La storia di una nazione

La storia di una nazione si racchiude nelle narrazioni che incrociandosi si stratificano in una sensazione che difficilmente è quella sbagliata, se l’oppressione è il tema principale e il peso della burocrazia statale schiaccia gli individui siamo di fronte al sopruso di una casta di pochi su i molti. Il racconto poi si ramifica nella foce dei costrutti in questo presente in cui coinvolti nel linguaggio della guerra cerchiamo una via d’uscita dall’angoscia. La poca pioggia ha già lasciato il campo al sole rischiarando lo spazio che si era fatto intimità nella nuvolosità, così esposti le sensazioni ritornano ad occupare i bassi fondi dell’ inconscio perturbante. I saluti timidi ci riportano a pensare ad un uomo nuovo che per rompere la propria toponomastica deve in qualche modo nell’ individualità allargare il confine della finitezza oppure al contrario restringerlo per riformulare una fisionomica che rompa lo schema della consuetudine.

Per caso

Ebbene ora ci ritroviamo per caso in quella stretta via che da sempre ripara dal sole e profuma di muffa nell’ombra appartata. Ancora una volta stretti nell’indecisione che alla fine il guerreggiare, l’annientare sia la soluzione a questo strano modo di vivere il mondo, il mondo come estraneità, noi al di fuori nella metafora dello spettatore. Quante volte facciamo la stessa strada senza capire che siamo la strada, e siamo anche tutto ciò di cui non ci accorgiamo, sarebbe semplice decidere di avere attenzione in modo da lasciare che le cose siano. La pioggia ha riportato il suono della variabilità con un sciabordio nella strada sotto alla mia finestra, l’oscurità che l’accompagna si è riempita dell’odore del ristagno che non vuole lasciare la presa. Una siccità solo rimandata mentre poco più in là uomini sordi si massacrano per una libertà, conflitto di inganni lasciati nascosti sotto la coltre degli speaker di facciata. Torno a rintanarmi in quell’angolo dello spazio in cui le storie mi vengono incontro per essere cambiate o aggiustate nel lessico più congeniale alla speranza di vita di un mortale.

La guerra

La guerra ha trovato il suo posto stabile nel resoconto quotidiano introducendo lessico e emozioni nella narrazione ad immagini Lungo il piano delle memorie altrui. Con circostanza lenta ma inflessibile l’impossibile si palesa nella possibilità degli eventi per trasformare le consuetudini in opinioni per riportare la bellicosità degli uomini a portata di strade e vie conosciute. L’inconscio della malvagità si palesa vestito da buon samaritano con cucito sopra la veste le stigmate delle buone intenzioni, un sorriso sfalda le ultime resistenze per piazzarsi nel salotto di casa con l’intenzione di permanerci come ospite inquietante per i prossimi decenni.

Nelle case altrui

Si può entrare nelle casa altrui senza fare troppo rumore per appropriarsi del profumo di vita che incrosta cose e pareti che lasciano scivolare nel crepuscolo delle persiane socchiuse l’eco dei sentimenti. Una incursione nell’intimità altrui per saggiare senza essere coinvolti le gesta di un immaginario quotidiano che si srotola verso un proprio compimento. Camminare in questo mondo come fantasmi ormai refrattari alla vita perché spaventati dalla sua crudeltà, la ricerca del dolore che si trasforma in male sembra l’imperativo dominante. Passo dopo passo verso un qualsiasi dove, nella baia isolata dai pensieri un po’ sconnessi dalla nebbiosità umida del porticciolo abbandonato. Mi ritrovo in questa oscurità d’acqua come un viandante del non senso, attirato nella rete dalle sirene cantanti mentre intorno il mondo va verso il lutto. Racconto me stesso, se così mi posso chiamare, non sempre l’unità mi corrisponde, ma le frammentazioni a giro si dissociano evocando altre connessioni con distretti distanti difficili da conciliare. Guardo oltre il confine delle onde e vedo barconi che avanzano, maree umane che montando il mare cambiano la terra, frammenti dal deserto ricostruiscono nuove visioni per chi da sempre rimane immobile, attraversato dai cambiamenti mi ritrovo chino a specchiarmi nella prima pioggia del mattino.

Nei tratti accennati

Nei tratti accennati delle espressioni si cela la possibilità dell’incontro, una conformazione inconscia che scaccia o accoglie; ci vuole la pazienza di aspettare per trovarsi, la fretta non serve ma inganna il cogliere l’atteggiamento. La sollecitazione continua sul da farsi come misura di performatività ci rende dei febbrili automi in movimento, con scarsa cura di ciò che ci sta intorno fino al solipsismo. Il guerreggiare per finta inesorabilmente ci porterà alla guerra vera in cui l’azzeramento della coscienza porterà i corpi ad agire come macchine fino allo sfinimento per ritrovare in fondo all’essere la propria umanità.

Campagna

Diretto verso la campagna costeggio i canali quasi essiccati dell’ irrigazione, come un presagio apocalittico, la secchezza delle zolle, un brivido mi scuote dalle profondità dell’animo. Sono tempi in cui il rimescolare dei paradigmi si fa più intenso, come a cercare con veemenza uno sbocco alla visione che dell’uomo fino ad ora ha dominato, sul piatto della storicità una trama che sappia sovrapporsi in forme diverse per assetti della relazione tra persone funzionali al nuovo mondo. Passeggiando lungo questo corso la luce acceca sfumando ogni contorno in una massa indistinta, un moloch informe nell’orizzonte si china per prendere per mano il gregge e portarlo dall’altra parte dove ad attendere c’è il vento che spira dalle cime più alte per ricominciare da capo il racconto.

Opinioni

Tendenzialmente si possono esprimere opinioni su tutto ciò che capita a tiro senza per forza capirci qualcosa, è come eruttare giudizi in una continua colata lavica per necessità di eruzione. In molti si trovano nella costrizione di essere dei giudicatori seriali essa è una forma patologica della costruzione del male che attecchisce dove l’abbandono e la privazione hanno colpito nelle forme della modernità. Infatti non è necessario che ci sia la miseria o la povertà come corollario, ma basta una non curanza con mancanza di compassione per stroncare il nascere del bene.

La riflessione

La riflessione camminata si sposta sulle ombre tra gli oggetti, gli spazi di mezzo che di solito sono riempiti dalle fantasie mentali. Tra i passi lenti le conformazioni incavate nel vuoto producono una vertigine in cui il perdersi è uno stare sospesi nel margine estremo della preposizione. È così che piano si entra nella realtà non contaminata dalle consuetudini, un trucco tramandato dai meditativi d’Oriente per sostare con tranquillità sulle onde del mare in burrasca. Parole che ricadono riverse per terra lungo il pendio che conduce oltre le creste coperte del muschio rado e coeso alla roccia, come una sbavatura di colore essiccata nella dimenticanza. Passo dopo passo verso un qualsiasi altrove recitando la preghiera del risveglio, una linea curva che si perde andando dritto a se con un incedere cocciuto, insieme al risuonare delle voci che hanno reso il percorso un cammino salvifico per la natura che ospita i passi da sempre. È la mia voce che incontro nella fatica apparendomi estranea senza un senso nell’ articolarsi all’aria, tendendo l’udito cerco il significare dei suoni ma tutto svanisce nell’attimo in cui cado nel vuoto del giorno.