Dall’epifania, si riprendono le fila di un discorso che era rimasto appeso, come un chiodo nel muro, in attesa di trovare il proprio significato. Una mutazione è in atto, sia nel corpo che nel modo di affrancarsi dalla gravità. Cerco di estrarre dai segnali che percepisco intorno a me il senso da attribuire a questo cambiamento. La noia mi assale quando si ripresentano vecchi schemi o parole vuote, pronunciate per convenienza.
Credo che sia in corso una rivoluzione dello stato di vecchiaia, un processo di liberazione da ciò che è superfluo, per poter viaggiare leggeri. La situazione sociale ha subito una trasformazione, frutto di una mescolanza globale, che conferisce alla convivenza una qualità incerta e, soprattutto, imprevedibile. La povertà, sia quella autentica che quella percepita, ha spinto gli individui a far prevalere l’istinto predatorio della natura umana.
In questo contesto, le aspettative nei rapporti sociali appaiono notevolmente ridotte. La distorsione della percezione porta a temere il peggio, alimentando un clima di sfiducia e pessimismo. La sfida diventa quindi quella di trovare in questa mutazione una nuova forma di coesione, di costruire relazioni che possano resistere alla pressione di un mondo instabile e di riscoprire un senso di comunità, pur nella diversità e nell’incertezza. In questa ricerca, potremmo forse intravedere la possibilità di una riscoperta del valore autentico dei legami umani, liberati dagli orpelli e dalle aspettative irrealistiche.
Scrivere per scrivere nella forma e nella sostanza dei ricordi mentre affiorano e poi dissolvono. Senza una tecnica particolare, ma per necessità. Il mondo sotto dettatura riprende la forma di un concreto e si anima del sentimento che, a volte, nella storicizzazione degli eventi, manca. Dalla piccola finestra di provincia, la realtà è velata da pregiudizi, i quali faticano a togliersi dalla luce per incontrare le cose per quel che sono. I popoli parlano lingue diverse, ma i corpi si muovono allo stesso modo.
Cerco di immaginare le relazioni come un film muto in cui l’interpretazione è posta sul movimento e la colonna sonora è composta dai suoni della Terra. Un primo passo per un linguaggio comune in cui il sentimento è il veicolo della comprensione. Come sempre, nelle storture della vita sociale cannibalizzata dal primato della sopraffazione economica, emergono modalità nuove di ritrovarsi, che in realtà sono antiche, ma nel presente dei pensieri delle nuove generazioni sono novità.
La tecnica che domina oggi viene messa da parte per tratti della propria giornata, in modo da riutilizzare i sensi per incontrare le persone. La tecnologia ha la tendenza a fagocitare ogni aspetto del vivere: da mezzo di utilità per raggiungere obiettivi, si trasforma in scopo fine a se stesso. Simbolo di potenza e supremazia, è il giocattolo massificato per una distrazione planetaria, un addomesticamento delle popolazioni medio-povere.
La condizione in cui riporto il mio significare dentro un valore è una condizione faticosa. Basta poco per sentirmi destabilizzato e perso dentro i giudizi altrui. È in questi frangenti che sogno la “frontiera” raccontata da J. London, in solitaria contemplazione della vastità dell’inesplorato. Lascio che lo sguardo fugga via lontano, senza sbarramenti nell’immaginario evocato. Al di qua dei sogni, la terra si fa arida, mentre il gelo cerca di sistemarsi per qualche giorno nelle piazze della città.
Scorrendo i fatti, mi sembra che il trambusto con il freddo sia aumentato. Sarà anche colpa dei tanti cantieri stradali che, a volte, costringono ad aggirare ostacoli; ma, sovente, si incontra gente perennemente arrabbiata. Difficile che capitino incontri gentili, e quando succede ne risulta una sorpresa che, a volte, cambia il clima di una giornata.