Rivedo il chiarore della sabbia smossa dal vento in controluce. Difetta la vista nel riconoscere le ali piumate del passato che si inoltrano nel presente. Un brivido percorre il momento in cui sembrare in più luoghi del tempo appare possibile. Tutti gli incontri vissuti mi appaiono giovani, senza il cambiamento dell’età. Anche le voci sono chiare, prive dell’inciampo dell’usura. Vorrei esprimere delle cose che non so raccontare. La narrazione che segue eventi e tratti concreti rimane per me impercorribile. Da sempre, il mondo m’appare a balzi, con strapiombi sul vuoto e luminose fluorescenze senza una direzione. Certamente, il vento è una guida per la direzione, e il controvento una sfida per le idee. Pertanto, andare un po’ a zonzo qui e là sembra la strategia migliore per cogliere cosa si è. La tristezza che avvolge la sofferenza è una coperta pesante. Tutti tocchiamo a tratti questo peso, richiamando il suo contrario. Questo giorno, che sembra uguale a un altro, in realtà è un riflesso ingenuo di un pensiero. Una perturbazione minimale in un campo che non scrolla mai il suo intento esistenziale. Trovo la terra che mi viene incontro per strappare brutalmente la sensazione di volo.
Nel gesto educativo, per anni ho intravisto quella possibile rivoluzione che porta a evolvere nelle molteplici forme dell’umano. Le esperienze, che trovano nella sofferenza un punto di forza, esprimono il meglio delle emozioni in sentimenti pacifici. Poi, il tempo canuto e rugoso ha dissipato la luce in un inverno bianconero. Una pioggia fine si alterna a nuvole e sprazzi di sole. Così, oggi vorrei andarmene senza pensieri, trovare nei passi un sentiero solo per camminare, frugando nel respiro il fondo dell’anima che condivido con il resto della Terra. Oppure, tornare alla musica, nella vecchia casa dove tutto è cominciato.
Il progresso è un’illusione del tempo che garbatamente suggella un patto con la vita. Che cosa sarebbe l’esistenza senza la positività del futuro? Verrebbe a mancare quell’energia che fa ruotare le ruote del progresso. Dentro a un campo chiuso, riavvolgiamo il nastro della memoria infinite volte. Di volta in volta, la vita si inventa da sé in una composizione che varia secondo la fantasia del momento. Educare è il tentativo di indirizzare una direzione piuttosto che un’altra, nella consapevolezza che non conterrà mai tutte le variabili dell’animo, seminando dolori nei poli estremi del percorso, i quali germoglieranno in rivoluzioni.
La nostra terra, che poi è quella di tutti. Tuttavia, la costruzione dell’identità si prefigura su un suolo che diventa “il mio suolo”. Questo incipit indica la necessità di appartenenze: sia reali che fantasiose. Questa modalità in cui il pensare si lega alle cose diviene la gabbia in cui poi “si vogliono le cose”. Una scrollata di spalle tra l’indifferenza dei passanti e la riflessione scivola via. Tra un traffico fastidioso e le continue deviazioni in giallo che segnano il lavorio incessante. Sento il timore di dimenticare tutto, anche la forma del mondo. Mentre mi guardo intorno, cerco uno sguardo interessato a vedere oltre la coltre del dubbio. Sono alla ricerca di segni profetici nel sottosuolo dell’animalità. Tra le carcasse divorate e i resti dei banchetti di guerra. Si scruta, come al solito, nella storicità il segno che indica la buona novella. L’ennesimo culto della speranza che, in qualche modo, cerca di assolvere l’umanità dalla propria barbarie. Tuttavia, mantenendosi nel linguaggio dei contrari, la coscienza contesta sé stessa. Intrecciando la realtà in una spirale schizofrenica in cui i pazzi sono i sani. Mi affretto a passeggiare lungo il viale di abeti verso la piccola chiesa dei santi. Vorrei sostare un attimo nella pace tra i predicatori morti.