L’essenza delle cose

In qualunque momento, nell’intercapedine tra pensare e non pensare, può emergere una novità: una forma di certezza che, per un attimo, rende tutto chiaro, strappando un raro sorriso di compiacenza. Poi… nebbia e palude, si torna nell’incavo sicuro dell’erranza. Ho l’impressione che i fatti non siano più cose certe; mi trovo a esprimere opinioni su cui successivamente mi sento stranamente insicuro. Dov’è finita la spavalderia dei tempi più impetuosi? La roccaforte delle sicurezze è stata incrinata, una leggera crepa la attraversa.

“Vorrei avere dell’oro fuso per medicare la cicatrice in nuova bellezza”. Alcune strade si incrociano, altre si dipanano nell’orizzonte della mia vista, mentre mi ritrovo con uno sguardo cieco sul cammino proposto dalle circostanze. Come Marco Aurelio, mi dedico a esercizi filosofici: con meno tecnica, ma il succo è quello. Cerco di disincagliarmi da ciò che mi appare, nel senso di non umanizzare ogni volta qualsiasi cosa. In questo, siamo degli artefici eccezionali, attribuendo intenzioni umane anche ai sassi.

Sole e freddo per ricominciare un lunedì che già sembra più festivo. Il traffico è più attenuato dalla mia finestra, segno che c’è meno gente che va a scuola o a lavorare.

L’inconsueto può insinuarsi nelle consuetudini senza preavviso, disorientandoti quel che basta per varcare la soglia dell’inaudito. Poi, tornando a casa, ci si rimette in pari con le solite cose, in modo che il mondo si regga ancora sulla molle convinzione di esserci. Anche oggi respiro quanto basta per non morire; l’aria densa che riempie ogni spazio a volte sembra colla che si appiccica e opacizza la vista. In questo quadro di eventi, il punto focale sguscia come un’anguilla fuor d’acqua. Così, non mi resta che starmene quieto nell’ombra dei grandi pensatori, inopportuni sulle rotte dei giovani emergenti.

Nei confini riconosciuti dall’appartenenza, il giogo di destrezza in cui mi trovo mi fa sentire prigioniero. Vorrei andare da qualche parte, ma è un volere vago che non finalizza nulla. Allora sogno ad occhi svegli paesaggi deserti abitati da esseri non umani. In questo intreccio, sento la politica come una chiacchiera che non esaudisce più i bisogni; impera per sé stessa nella forma di un addomesticamento coatto.

Chissà perché il mito di un mondo migliore persiste, nonostante la caduta degli dèi. È un bisogno squisitamente umano quello di raccontarsi di un futuro che non è mai l’oggi, nel segno della speranza.

Vedo… osservo il passaggio della corrente. A volte calma, a volte tempestosa, scorre in una direzione che avvicina e allontana. Come i commenti che si sgranano nella fitta fuliggine del chiacchiericcio. Mi trovo davanti a un semplice bivio, un crocevia di due direzioni. Semplice, eppure complicato, proprio perché non lascia scampo. Meglio rifletterci su; i sogni possono decidere per noi.

Le stranezze del giorno si susseguono nel mio passeggio tra case e palazzi, in una città come tante. Ora aspetto un suggerimento dalla superstizione di fine anno, un tentativo disperato di fede nel credere che dal nulla emerga qualcosa. Nel sole, un barlume di ragione riscalda il cuore come una carezza caduta dal vento.

Ci sono ragioni per cui non comprendiamo l’essenza delle cose che ci circondano. E se fosse forse inspiegabile per il limite stesso a cui siamo vincolati? O è proprio così che dobbiamo essere, consapevoli di ignorare qualcosa che è da sempre ignorato? Un ossimoro a cui la ragione si lega in una strana danza senza via d’uscita. Le leggi della natura esistono anche senza la ragione, anche senza che qualcuno le concepisca.

Così, la brezza si espande tra i colori dell’imbrunire, e i campi si preparano alla gelata notturna.

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