L’insorgere passeggero delle emozioni, rispetto alla stazionaria indifferenza che accompagna il ripetersi delle consuetudini, porta a un sussulto e, per un momento, alla visione chiara del tempo nella sua cruda inesistenza. Ho riflettuto molte volte su come essere coraggioso nei confronti della nullificazione delle cose, animate o inanimate, che in fondo sono la stessa cosa. Il nulla e la morte sembrano, in alcuni momenti, due facce della stessa medaglia, anche se credo che non lo siano. Meditando su “Il vivere per la morte” di Heidegger, il quale, al primo impatto, può spaventare, ma che, a una riflessione più attenta, ha una sua praticità per diventare coraggiosi. Se da un lato la visione nichilista porta tutto allo sfacelo, equiparando i valori a una mera altalena in cui, di volta in volta, prevale il più forte, la verità diventa un “dire” relativo al quale non si può fare affidamento. In questo modo, l’incertezza del vivere si trasforma anche nell’inconsistenza di essere un valore e, di conseguenza, si può morire per volontà propria o di altri senza remore. Parole che scivolano via lontano, mentre aspetto l’ora di iniziare i lavori domestici, addomesticato dalla cura per le cose o dal desiderio di ciò che ancora non possiedo. Di fronte a noi, la strada si srotola simultaneamente alla sua visione. Potrei, con un certo sforzo, cambiare lo scenario e alterare la realtà, ma questo mi spaventa, perciò rimango sul sentiero, con la fede di poter cambiare il mondo. Forse nel futuro, che è sempre qualcosa che non ci appartiene. Le corde emotive si stanno sfilacciando e il canto si trasforma in lamento e, a volte, in pianto. Il rumore del corpo interiore sta prendendo il sopravvento su quello esterno, manifestandosi nella forma della decadenza. Sempre più, il luogo intimo diventa un’ampia e imperscrutabile landa.
La lettura è un’apertura verso un luogo in qualche modo conosciuto, ma sconosciuto nella realtà. Comprendiamo ciò che, in un certo senso, ci è già inconsciamente familiare, ma non siamo in grado di cogliere l’assoluta estraneità. Questa estraneità è presente come materia oscura, anzi è talmente presente da rappresentare la maggioranza. Tuttavia, il corpo non è né dotato né allenato a decodificare il non conosciuto o l’ignoto. Da quando i dolori e la fragilità mi rendono statico, il pensiero si allontana sempre di più, fuggendo verso lidi distanti dalla mia conformazione e riportando nella quotidianità riflessioni inusuali.
La descrizione o visione distopica mescola il mazzo di carte già segnate; non c’è un’altra storia da raccontare, ma è la stessa con accenti diversi. La caccia in cui vorrei cimentarmi consiste nell’infrangere il velo del racconto che ancora non è nato, ma che deve trovarsi da qualche parte dove risiede l’inumano.
Il tempo ha conferito regolarità e regole certe per coordinare i viventi intelligenti, ma in effetti è diventato il padrone del pensiero. Quindi, non esiste una nuova storia all’interno del tempo; è con esso che occorre ingaggiare una disputa per oltrepassare la sua soglia di pertinenza. La poesia ingaggia valorose tenzoni contro il tempo, per il tempo, oltre il tempo, e a volte scivola nell’ignoto. Ma pochi ascoltatori sono rimasti a tendere l’attenzione verso l’evocazione che solo il verso può innescare. Parole che inavvertitamente cadono nel campo dell’infinito con il potere di portare con sé i mortali.
Basta un poco di attenzione per sbirciare nel campo dei non senzienti, dove tutto non ha necessità di essere o di volere alcunché. È sera qui giù, tra un vento che sfiora e una leggera pioggia che bagna. Tra i suoni di un vecchio paese di campagna, sento cantare una ninna nanna.