Trucchi da giocoliere si osservano per strada mentre il sole tramonta. Uno spettacolo gratuito per restare sospesi nella magia dell’impossibile. Un attracco al porto dei sogni in questa giornata che vorrei ridipingere. Il fischio interno è vari altri borbottamenti richiamano attenzioni non gradite. Il riposo è alla fine uno stare chiuso come un carcerato. Una cella a prova di problemi o l’ottusa volontà di far si che le cose divengano altro da sé. Un destino fallimentare quello di sfuggire alla propria natura. Ripiego tra i vicoli nascosti dove i saltimbanchi vengono a riposare. La mia città, è anche la casa delle aspirazioni, e dell’ansia inquieta che il tempo impone. Esiste una possibilità che un passo lasci il segno duraturo? Probabilmente no, ma a volte è intrigante pensarlo. Ogni giorno si scopre questo corpo vivo di mattoni e cemento, il quale respirando muta in varie versioni di sé stesso. Un alveare in cui ognuno trova alla fine il suo posto in una ordinata confusione governata dalla necessità. Un sentimento di riconoscenza dovuto alla storia che ti include nel tempo in cui sei cittadino. Questa città che in alcuni casi è irritante, ma che comunque sempre ti attende.
Con il sorgere del sole il pulisci strade incarna la voce del risveglio. Nel dormiveglia il fragore del motore appare come un mostro alato. Con sbuffi di vapore rovente divora lattine e cocci di vetro. Non so come finire o iniziare una giornata, ciò che mi appare è una sbiadita nebbia che ricopre le cose. La tortura della ripetizione a cui attendere alle consuetudini rende il mio tempo agitato. In qualche modo vorrei uscire e ridipingere il mondo con i colori dell’inizio entusiastico dell’avventura. Un cammino acciottolato non molto faticoso ma non banale. Quindi..guardando in giro, non scelgo, ma lascio andare, come scritto nel buon manuale del mediatore. In fondo credo che emozioni e sentimenti non ci appartengono. Ci passano attraverso dalla terra al cielo animando il mondo. Non ci muoviamo ma siamo mossi. Il destino è tale perché è onnicomprensivo, non appartiene a nessuno se non a se stesso. Quindi…andando verso…una qualsiasi meta: lontana o vicina che sia, lascio che le domande evaporino nella schiuma delle ombre. Proiezione delle cose su le cose nel gioco della luce con la notte. Ci si saluta com brevi cenni, andando oltre fino alla fine del sentiero.
Una cadenza per violino solitaria sì è staccata dall’orchestra per andare oltre quell’insieme cucito dall’autore. Risuona istintivamente in una affermazione dell’individualità per poi sfiorire, nel disordine della realtà che si riprende la scena. Portare lo sguardo un po’ più lontano aiuta a scorgere oltre l’insensatezza del rumore contiguo alla soppressione. L’umiliazione di ogni libera espressione è minacciata non solo da chi gestisce il potere, ma dagli ignoranti che plasmano dal basso le trame discorsive del quotidiano. Giocolieri e saltimbanchi portano dispacci e conoscenze in giro per le vie, tra rulli di tamburi e canti sgraziati dal troppo alcol. La verità s’é fatta in quattro per non scontentare nessuno, così che oggi nessuna direzione è più quella buona. Cosa dire? Se anche il “dire” è ambiguo, facile alla manipolazione ed all’erranza. In quale paesaggio si può trovare quel poco di sicurezza per placarsi? Per fermarsi, ed interrompere il flusso del discorso interno? Il giorno che con la luce porta in evidenza i contrasti ed i contorni non lascia scampo alla ruminazione di senso che le cose portano con sé. La notte più buia non lascia scampo al timore ed al bisogno di rassicurazione. Per cui ci deve essere da qualche parte una terza via per restare senza linguaggio da soli con il mondo.