La condensa appanna i vetri, velando gli occhi di tristezza. Il sapore della cottura riempie la cucina, mentre strane immagini si proiettano sugli oggetti. Niente è ciò che sembra: un romanzo giallo racchiuso in un pensiero. Non vorrei girare le spalle a questo scenario, ma… incombe la preveggenza di dover lasciare andare qualcosa che potrebbe ferire. Scorticato dal mio stesso volere, che non so se sia davvero mio, volgo le spalle al nulla e m’incammino nella nebbia di un paesaggio ancora da tracciare. Alla fine, sono solo riflessioni; il reale è qualcosa che attende sempre un poco più in là.
Nell’immediato, sento il respiro e il segno dell’assenza diventa insostenibile senza ossigeno. Qualcosa già pensa per me e ha calcolato le possibilità. Con spirito magnanimo, lascia che abbia fiducia nella scelta. Nel voltarmi di scatto, sento l’impulso di cogliere sul fatto il suggeritore. Ma la mia è una lentezza umana, perennemente mancante. Oggi, smetto con le gare e attendo la conclusione di una giornata col sapore della sera. Da altre parti si intona un canto, e in altre ancora si lasciano tracce. È la volontà di essere notati dalla stessa volontà d’esistere, in una radura di non senso.
Tra le rive dei fossati, la vegetazione è più verde e rigogliosa, e si possono incontrare i visitatori provenienti dalla terra di sotto. Giocare tra le acque basse dei piccoli canali d’irrigazione è il massimo divertimento per i bambini del paese. Nei pomeriggi assolati, gli schiamazzi nella campagna diventano il centro del mondo. Con poco, il divertimento è assicurato e la fantasia corre libera tra la distesa vegetale.
Ritorna il tempo del rimembrare il paesaggio infantile, mentre, rintanato nella cuccia cittadina, mi lascio andare all’inerzia alla scrivania. Di solito, il mattino presto è il momento in cui si sente maggiormente il canto degli uccelli. È il tempo migliore per rinsaldare una consuetudine con i viventi.
La giostra della vita gira un po’ per tutti, anche se non tutti si divertono. Esiste una categoria di persone, dette “osservatori”, che non si mischiano nella mischia, ma rimangono lì, fermi in apparente assenza emotiva. Ed è così che il mondo può sguazzare nella disuguaglianza: molti, sentendosi non direttamente coinvolti, osservano e passano oltre. Certo, questo non è il motivo dei mali del mondo, ma rappresenta un aspetto curioso. La qualità dell’esserci è spesso permeata dalla codardia e da una certa dose di cattiveria verso la propria specie. Riconoscere la bontà nel “baluame” del fare umano è un compito arduo per l’uomo di fede.
La ripetizione è simile al salmodiare nel racconto dell’esistere, un modo per vincere l’erranza, che risulta più forte dell’identità. Nell’insolita cornice della periferia, camminiamo con timore, sovrastati da alti palazzi sonnacchiosi al sole estivo. Temo il morire più della morte, un’ombra che può presentarsi anche nella luce dei colori. Le solite liturgie m’attirano verso luoghi familiari; difficilmente mi appare un paesaggio tinto di novità. Come le mie cento parole, che scorrono via come il sapone sotto la doccia. Una volta andate, diventano altro per sempre.
Un rifugio sicuro è la ripetizione, che inchioda il pensiero a un rallentamento. Sembra che tutto avvenga nella testa, ma in realtà sono i lombi a dolere. Gli stati emotivi si susseguono senza controllo, invadendo corsie opposte. Da dentro non riesco a percepire nulla. Il corpo va a sbattere e, forse solo il giorno dopo, mi accorgo dei lividi. Una melodia del passato si deposita sulle lacrime di oggi. E rivedo una scena antica, quando osservare il cielo notturno non era un problema, ma un privilegio. E ci si voleva bene senza ritegno, fra amici d’avventura.