Il consumatore esistenziale

Come mettersi nei panni altrui? Come conoscere il mondo esistenziale dell’altro?

Utilizzando l’analitica esistenziale di Heidegger, o meglio il suo linguaggio per descrivere il mondo, proviamo a entrare nella realtà di un consumatore di sostanze da cui è dipendente. L’“essere-nel-mondo” indica uno stato in cui si è sempre già immersi nella realtà delle cose, e il sentire emotivo rappresenta il modo in cui la percezione apprende ad utilizzare gli oggetti a disposizione, nella loro potenzialità.

La variabilità di senso con cui investiamo gli enti consente un’ampia discriminazione nell’interpretazione delle situazioni; in base a questo, possiamo ricavarne più o meno beneficio in termini di utilizzabilità per il benessere. Pertanto, la cura nell’esserci ci consente di trarre dall’utilizzo delle cose il significato riguardo a come spendiamo la nostra temporalità nel corso di passato, presente e futuro.

Sono le giovani generazioni messe in condizione di consapevolezza dell’esserci sufficienti a svelare le proprie potenzialità esistenziali? La risposta sembra negativa, poiché gli oggetti e gli enti prevalgono sull’essere-nel-mondo. Lo strumento tecnico, concepito originariamente come ausilio, è diventato un’esistenza dalla quale si dipende per la propria sopravvivenza.

Così accade anche per il consumatore: una volta sviluppata una dipendenza dall’oggetto, questo assume il ruolo di unica fonte di senso nel proprio sistema identitario, restringendo l’orizzonte dell’essere-nel-mondo a ogni altro possibile significato.

Questa è la situazione che ci troviamo ad affrontare rispetto ai giovani consumatori, i quali, nella maggior parte dei casi, sono privi degli strumenti conoscitivi necessari per elaborare un pensiero alternativo. In estrema sintesi, l’orizzonte della presunta soddisfazione dei bisogni è completamente assorbito dall’oggetto da cui dipendono, diventando l’unico orizzonte del proprio mondo.

In questa condizione, quale relazione può modificare uno stato esistenziale disfunzionale? La risposta che emerge spontanea è che non è offrendo oggetti alternativi che si interrompe il comportamento dipendente. Perfino approcci strumentali come la somministrazione farmacologica o le tecniche dialogiche sembrano destinati al fallimento, poiché non agiscono sull’esistenzialità della situazione dell’essere-nel-mondo.

Solo un’esperienza di torsione nell’investimento del senso dell’essere-nel-mondo può spostare la visione degli esistenziali e cambiare l’assetto della fruibilità delle cose a disposizione dell’esserci, per abitare la propria realtà.

Se il cambiamento di senso per una persona dipendente dall’oggetto non consiste nell’offrire ulteriori oggettualità, né in proposte di cambiamento o nella somministrazione di farmaci, allora l’unica risorsa rimasta è quella di stare accanto a queste persone, attraverso un accompagnamento mirato a mostrare un altro orizzonte possibile. Perciò, il modo in cui si sta accanto e il luogo in cui avviene l’incontro diventano elementi essenziali di questo processo trasformativo.

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