Nel proprio nome resta quasi tutto ciò che si annida nell’identità: un baluardo di sicurezza o di sicumera a cui aggrapparsi per sentire l’appartenenza a una vita organizzata. Aggregati di senso che, unendosi intorno a un’idea, formano un nodo. Con il sole al mattino, rinuncio all’oscurità per ricomporre quel nome da cui dipende la costruzione di queste stanze. Da qualche parte, forse negli angoli scuri e umidi, un po’ abbandonati, resistono le blatte al rumore delle chiacchiere. Insetti per nulla spaventati dalle ere di distruzione, da cui escono sempre come se nulla fosse successo. Un’interrogazione giunge dall’ombra e si perde in una nebbia di luce, mentre da un punto indefinito del tempo sorge una risposta. Intontito dagli sbalzi d’umore che saettano per l’aria come istrionici personaggi di una commedia, attendo che qualcosa da un altro mondo parli alla sconsideratezza che regna nelle menti. Il paesaggio lunare che avanza nella fantasia è figlio del timore della perdita, la sensazione di una vita amputata, con la conseguenza di una perenne esigenza di dover ritrovare l’arto mancante. Penso sempre a te che mi ami, mentre da tempo le luci si sono spente lungo la riva del mare, più che altro sognato. Come è sognato lo scoglio solitario, frastagliato dal vento, mentre ci si avvinghia meditativamente.
Da fuori, le ombre dell’interno appaiono trascendenti rispetto al senso di realtà che la vista impone. Un velo ricopre, mutandole, le cose, così che i significati, trasformandosi, diano vita a costellazioni. Sono i sogni che rimangono addosso in frammenti allusivi durante la veglia. Incursioni di altri mondi plausibili si insinuano nelle cose sotto mano, che per un attimo diventano altro da sé. Ci sono anche i ricordi che, nel momento presente, si infilano ad agitare le acque. In un plesso circoscritto di confusione, il vivere diventa una scissione di piani di realtà.
Mentre cerco di gustare un cappuccino al bar, nella consuetudine della vita, una forma di trascendenza fa sì che, tra di qua e di là, il velo venga forato a tratti, permettendo incursioni in varie realtà. Nei diversi luoghi dell’apparizione si pone il fondamento di un particolare modo di intendere i contorni degli enti. Spesso, al risveglio dopo sonni agitati, confondo i piani fondativi e mi ritrovo in luoghi che, a prima vista, non riconosco. Smarrito come un viandante sulla strada che non s’aspettava, vado avanti finché la luce si fa abitudine. In questo riconoscimento, mi accorgo di conoscere la strada che sto percorrendo.
Alcuni appunti vanno presi al volo, scritti nel vento e impressi nella memoria. Sguardi, fisionomie e passaggi fugaci nella sera formano un mosaico complesso, in cui la ricostruzione della realtà si carica di emozioni particolari. I percorsi quotidiani sono costellati da continui cambi di rotta, a seconda del colore emotivo della tela che si compone nel ricordo. A volte ne sono consapevole, altre volte no. La silenziosa mutazione dell’umore avviene lungo un sentiero sconosciuto. L’angoscia, in questo processo, richiede d’attenuarsi per dar vita a un racconto coeso, che in realtà è solo apparente.
La ribalta spegne le luci; nel fondo, possono prosperare le ombre. In queste e in molte altre rappresentazioni, la parte oscura sovrasta e talvolta contrasta con l’apparire. I seguaci dell’occulto trovano nuove costellazioni magiche per incidere la realtà con sfumature d’irrealtà. In prossimità degli svicoli, la sorte o il destino attende, inquieto, sul cammino che comunque verrà scelto in base a ciò che è già predestinato. È un’ansia ingiustificata ma necessaria, affinché la ruota del tempo continui a girare.
Ora che il teatro si chiude, con all’interno le maschere che evocano racconti, da fuori la cupola sotto il cielo sembra il cappello di un antico signore.