Il resto della vita

La storia comincia in qualche angolo remoto dell’immensità a cui possiamo pensare, in un paesino collinare attraversato da un fiume importante. Nei racconti, il paesaggio si anima di quella virtù che, scoperta da bambini, poi ti stringe il cuore per il resto della vita. C’è stato un tempo in cui vivere in un luogo significava appartenervi, anche se andavi lontano. I prati, le colline, il fiume, gli animali e il dialetto restano scolpiti nelle pieghe del corpo e della coscienza, nutrendo il senso di identità nelle circostanze difficili, quando la volontà vacilla. Chino su questa fotografia che dal passato mi chiama, avverto struggimento e il pianto per qualcosa che non c’è più.

Gli amici, anche se lontani, si sentono senza incontrarsi, intrappolati in una caotica routine che consuma il tempo come una caramella liquorosa. Deve avvenire necessariamente un cambiamento nel passo, in funzione di un corpo che non risponde più alla fretta. Immagino di allacciarmi le scarpe con fatica e vedo come sarebbe il film del mondo al rallentatore. È la possibilità di guardare più a fondo nella solita occhiata, dove le cose sono affastellate in modo approssimativo. E nel paradosso del declino dei sensi, ritrovarsi a essere un sensitivo del disvelamento.

Colgo dei fiori mentre cammino lungo i lati delle strade, che al momento non sono battute dai turisti della domenica. Cerco un posto solitario dove depositare ossa e sangue, mentre spengo il pensiero. Tra i richiami degli animali, mi sembra di sentire gli alberi sussurrare; è una sensazione fugace, come se la natura vivesse al di fuori di me. Mentre scrivo, gli oggetti si dispongono nell’ordine della descrizione, come se prima non fossero stati. Anche la luce compare nel primo mattino, cambiando il clima emotivo in qualcosa di più esposto. Questi sono solo alcuni degli avvenimenti che accadono tra un silenzio di coscienza e una ripresa.

Dirada sempre di più la voce che comanda, in una flebile risonanza tra il canneto e l’acqua di palude. Nascosto nella tranquilla e dimenticata regione della noia, mi accingo a non fare nulla. Sospeso nel paesaggio lagunare, affondo nel forte odore dell’acqua marcita, cullato dal sogno che niente possa turbare il sonno. I mondi, così confinanti e vicini, a volte fanno incursioni l’uno nell’altro in modo inaspettato, sconvolgendo la coscienza che si increspa come una burrasca per poi arenarsi sull’ente sicuro di un essere consuetudinario. Quando, così d’improvviso, ci turba il discorso mai espresso, guardiamo davanti a noi come in una profondità senza fondo.

Ritornando sui passi che riecheggiano dal passato, mi trovo in una forma sfiorita del presente. Torno a casa per chiudere la corsa dei pensieri che per tutto il giorno hanno riempito lo spazio attorno a me. Cercando una pausa dal rumore del vivere, mi avvolgo in un silenzio che continua a generare conformazioni di senso. Tra la cucina e la finestra, il panorama della strada invade l’intimità dei miei momenti. Ancora una volta, la storia si ripete, lasciandosi leggere come una notizia del giorno. Zoccoli dimenticati lungo il percorso segnano il cammino che, da svegli, porta verso un sonno privo di sogni.

La lanterna appoggiata lungo il corridoio è il segnavia verso il sogno. Nella luce della sera, l’immaginario si risveglia con l’aiuto della Luna, che attrae i corpi. Gli opposti si compongono in sintonia nella bizzarra armonia della fantasia. Posso gridare a squarciagola espressioni folli e contrastanti, riuscendo comunque a trovare un senso compiuto nell’ombra della notte. Sento, senza volerlo, il velo della paura che potrebbe ripresentarsi all’alba. Tuttavia, non voglio che entri nell’alloggio del fantastico mentre siamo indifesi nella culla primigenia. Così, nell’oscurità, riparo le mie idee più nobili.

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