La giostra gira intrecciando luci colorate nella sera fredda e scura. Pochi bambini imbottiti nei piumini ridono al gioco ed al suono della canzone. Si cammina avanti ed indietro nella via con i negozi che tra poco spegneranno le proprie insegne. Chiudo ad ogni spiffero per rintanarmi nell’ombra interna dove il pensiero si fa lento. Ancora pochi passi poi tra uno starnuto ed uno schiocco di mani mi avvio verso casa. Una serata che si conclude nella periferia di una città che sopravvive arroccata alla propria storia. Capita a volte nell’attimo di distrazione notare figure degli antenati che ancora girano l’angolo per dileguarsi.
I presagi mostrano ciò che le emozioni superficiali vogliono indicare nella ressa per la sopravvivenza. Nel susseguirsi delle generazioni il tempo si azzera per lasciare spazio alle nuove per ripetere la lezione. Ribattendo sulla stratificazione della conoscenza come se la pagina fosse ancora bianca. C’è un limite nella visione che impedisce di cogliere l’insieme ed il particolare, permanendo in un pressappoco che alla fine tutti noi ci facciamo bastare. Non è difficile trovare persone che quotidianamente ripassano gli stessi posti con gli stessi gesti senza che notino le forme ed i suoni al di fuori della loro traiettoria.
La pioggia oggi ha preso la scena e risuona come un carillon nella sfuggente mattinata. Ho molti dubbi sul come le consuetudini si sono mobilitate per rendere il tutto inesorabile e scontato. Cerco da dentro il seme della ribellione per disincagliarmi dal porto non più sicuro dell’illusione. Le forme della scrittura si incartano nel tentativo di formare nuovi fonemi così che con i segni nascosti l’inconscio vuole mostrarsi. Non so se alla fine posso reggere la novità dal momento che il corpo continua a lamentarsi come lo stereotipo di un vecchio brontolone. La rivoluzione è sempre stata cosa da giovani ma pensata dai vecchi.
A volte penso a questa necessità dello scrivere senza meta o orizzonte costruttivo, ma come a una spinta naturale all’espressione di idee o quadri figurativi grammaticali. “Un tempo ormai remoto aprivo il pianoforte e lasciavo che le dita andassero dove volevano sulla tastiera”. Ora, tra il respiro e la quiete, scrivo nello stesso modo della musica, facendomi trascinare dalle assonanze armoniche che da sempre orientano il senso del mondo. L’armonia aggrega e ordina i gruppi sonori in base alla risonanza dettata dalla Terra, in cui la visione è una costellazione matematica.
Nel dialogo interno, le molteplici voci che ci abitano si parlano per necessità, poiché senza di esse non ci sarebbe produzione. La multi-personalità diventa quindi una necessità nella costruzione della realtà per ogni individuo. La problematica risiede nel riconoscimento delle parti all’interno dell’unità fisiologica del corpo. Questo andare e venire nella riflessione—tra una fonte e la risposta in uno spazio intimo—si trasforma talvolta in ruminazione, conducendo a un blocco interiore. In questo stato, è facile perdersi, e mancando un’uscita, l’esterno si affievolisce progressivamente, privandosi del significato emotivo. Ora che l’ora è suonata, spengo la luce che non si era mai accesa.
Il mare saluta la propria sponda a volte con affetto, a volte con vigore. Mentre da lontano occhi indiscreti rimangono meravigliati a guardare la danza ed il suono del vento. Un paesaggio che riempie ogni senso di un corpo vivo e non lascia vuoti nell’ incedere del tempo. Nella memoria ripasso il momento in cui acqua, cielo, terra si incontrano con lo sguardo. Per un attimo resto esterrefatto dallo stordimento e fatico a tornare nel fluido del contingente. Spettacoli offerti per la grazia di essere vivi in una narrazione che celebra i propri morti seppellendoli nel nulla.