Oggi piove dentro al sonno poco prima del risveglio; la sciolina delle auto è inconfondibile sul selciato bagnato. La costruzione della giornata è solo all’inizio, ed il freddo non aiuta ad uscire dal letto. Penso al lavoro che mi attende, il quale in qualche modo risponde a uno scopo. Poi mi viene in mente la conferenza in cui si argomentava che lo spazio tra materia e vuoto è uguale a zero. Quindi, l’universo è sospeso in equilibrio tra la possibilità dell’esserci e il suo contrario, senza una vera predisposizione per l’una o l’altra cosa.
Tra le fila dei miei pensieri prima del risveglio vero e proprio, intravedo che il pensare potrebbe essere cambiato. Avrei voluto andare al funerale di un’amica oggi, ma sento la solitudine della fine come una spada già trafitta nella carne da tempo. Come Lei, lavorerò in quella forma di missione che è peculiare di una certa cultura del sacrificio. Ancora mi torna in mente l’idea che il vuoto, alla fine, non è proprio vuoto, ma è qualcosa: ma cosa?
Comincio a immaginare le forme del quotidiano come aggregati che possono e potrebbero essere anche altro. Comincio a pensare che le cose possano mescolarsi e che il mio corpo non sia più soltanto mio, ma anche di qualcuno o qualcos’altro. Penso all’arte astratta e, in questa logica, torna a farmi senso quella tipologia di figure; penso alla musica dodecafonica e inizio a orientarmi nel paesaggio sonoro.
Questi sono i pensieri che mi colgono prima di essere completamente sveglio e di permettermi un primo gesto verso la possibilità di un caffellatte di soia con miele. L’indugiare su termini e definizioni mi affascina in parte, e in parte mi stanca, al punto che perdo il senso, e uno spaesamento cala come un’ombra nel silenzio di questo mattino. Vorrei un tempo per studiare con calma e non essere costretto a inseguire le ore che inesorabilmente mi sfuggono di mano.
Non è ancora ora di alzarsi, e desidererei che le ore si sciogliessero in una presenza aperta ai sogni. Sento, dall’interno, il rumore e lo scricchiolio degli oggetti che soffrono la fissità. Rimango sorpreso dal vento tumultuoso degli eventi che modificano il mondo a piè sospinto, come in preda a danze sciamaniche che, una volta iniziate, non possono essere fermate. Ma, alla fine, resisto; fermo nel respiro, ascolto solo l’oscillazione dell’aria che entra ed esce. Lo sguardo si posa appena un po’ più in là. Si misura sulla pelle della gente l’insensatezza di ripetere azioni che non funzionano: ci deve essere una ragione per le tante azioni stupide e dannose. Resta difficile accettare che non ci sia una spiegazione, ma, dopotutto, anche la ragione è una invenzione filosofica.
I fatti del giorno, spiattellati dai giornali, si intromettono nella mia routine ancor prima di alzarmi dal letto. Vago tra le pagine, oppure mi immergo in qualche sprazzo culturale, che di questi tempi è piuttosto raro. Sembra che i pensatori siano stati esclusi dall’informazione di massa. Il nostro sistema si regge su una confusione ben orchestrata, dove si mescolano paura di guerra, fame e crisi energetiche. Nella maggior parte dei casi, ciò di cui temiamo di perdere è il superfluo, l’inutile.
Questa dinamica tiene insieme una miriade di persone in una modalità di sopravvivenza che favorisce solo un gruppo ristretto. Il racconto quotidiano dei mezzi di comunicazione mantiene la storia su un asse preordinato, dove una ragionevole confusione riesce a preservare l’ordine.
Nel mio percorso quotidiano, dedico tempo alla lettura di testi filosofici, allenando il mio pensiero alla meditazione della sospensione del pensare. Intorno a questa apparente quiete, le stanze della mia abitazione si animano, e le forme del quotidiano si strutturano in voci e intenzioni.