Di fronte al lume acceso, la notte si ritrae quel poco che basta per permettermi di guardarti dormire, mentre il tempo non rintocca come nel giorno. Cammino avanti e indietro nello spazio austero degli oggetti in ombra. Dalla casa piove la polvere che, per forza di gravità, non riesce più a restare negli angoli alti. Questo effetto, illuminato dalla fioca luce, appare come una magia in cui la realtà rarefatta si libera della propria descrizione per abbracciare qualcos’altro. Lasciando che la visione trasporti la fantasia oltre queste mura, mi perdo nel mare infinito dell’arte, che è anche l’unico linguaggio del vero.
Aspetto fermo al mio destino, mentre altri avanzano nell’incontro con la bufera che spira in senso contrario; è la guerra che gela il sentimento in un ristagno di incomprensione. Dal bosco, gli animali si mostrano curiosi per le agitazioni umane, mentre gli esseri umani vivono da sempre ignari di essere osservati con consapevolezza. In questa lunga agonia dell’incertezza, i capitalisti vendono sempre più prodotti inutili. Ormai, i bisogni sono costruiti dall’algoritmo intelligente e da servi privi di mondo. Nel racconto, mi sento uguale in ogni momento al personaggio che viene narrato; in questo risiede la finzione del molteplice.
Nulla appare fuori dall’ombra che custodisce il proprio tesoro. I curiosi vengono attratti dalla reticenza di entrare nel cono e sparire in esso. I racconti del mistero diventano supposizioni di chi si tiene a distanza dall’ignoto. Le varie interpretazioni di quel limite oscuro si tramandano di mano in mano, non comprendendo che già si cammina su sentieri oscuri e tragici. Ora che i miei movimenti sono ridotti al minimo, provo la vertigine di perdermi nei pensieri. Sento, dall’interno, il soffio di una voce che, essendo mia, non è allo stesso tempo mia.
Il racconto degli esseri di luce che visitano la Terra come se fosse un resort è un tema di dialogo per i curiosi. Si tratta di un oltre che si dispone in una descrizione che, allo stesso tempo, è inconoscibile. La strettezza del discorso, o meglio, il sentiero ad infinitum del significato rispetto al significante, che incardina una descrizione, appare non esaustivo per questi curiosi.
Di fatto, l’inclinazione a essere in contraddizione con noi stessi sembra essere la condizione naturale dell’esistere. Il dubbio continuo, o l’oscillazione perpetua tra contrari, sembra rappresentare la nostra caratteristica mentre ci incespichiamo tra le cose del mondo. Parliamo sempre di verità, ma senza che ve ne sia una che rimanga ferma abbastanza da imprimersi nella memoria.
Un sole pallido si intravede tra le case sparse, in un giorno segnato dalla festività. Per un momento, il via vai è attenuato da una leggera foschia, che diventa anche riflesso del sentimento dell’animo. Passeri infreddoliti, finalmente liberati, volano sospesi come palle di neve in cerca degli avanzi di un popolo in diaspora da se stesso. Intravedo cumuli fumanti di legna accatastata nei campi seminati di recente. C’è qualcosa di immobile in questo fermo immagine, che si presta per entrare nei sogni di questa notte. Luci di Natale solitarie illuminano a tratti il leggero sentiero di ghiaia bianca.
Non sempre le parole escono appropriate; anzi, a volte sembrano negare la loro presenza, preferendo rimanere nell’oblio. Con graffi e sputi, rifiutano di evadere, scegliendo il nulla, che non è mai davvero assoluto. Questo ‘essere sempre qualcosa’ – ancor prima di essere – stringe per la gola ogni possibile semantica. Ogni novità originaria nasce nel dubbio che fosse già stata radicata nel sottosuolo del pensiero. A volte, dunque, bisogna turarsi il naso e sprofondare al di sotto delle nominazioni; come un palombaro muto, bisogna attraversare le colonne della ragione. Così, in vista dei fondali, possiamo raccogliere il dono del silenzio per dare cadenza a una nuova poesia.