Come nulla…

I fatti si spengono al limitare della costa, travolti dal profumo tenue del mare, che si spinge nell’immaginario del camminante sulla terra ferma. Una città ed i suoi contorni si slanciano nella sofficità delle nuvole, che oramai hanno preso l’abitudine al rosa. Le storie formano la stabilità identitaria, in un continuo brusio di voci sussurrate che, dal cavallo alla ruota, corrono lunghe le strade. Il mio punto di vista è solo un momento che poi si disperde nel ceruleo sguardo dei molti.

Come al solito, la discussione si protrae oltre gli orari notturni, intrufolandosi nel chiarore del mattino, accompagnata dai primi suoni del risveglio. Le parole, sgranate con una corte di significato, riempiono il vuoto che resta del discorso, mentre gli sguardi accigliati si ritirano per un lungo sonno. È consuetudine ritrovarsi nella bettola di turno, dove, tra l’odore di muffa delle bottiglie invecchiate, si creano sinfonie con racconti improbabili e utopie altrettanto evanescenti. I libri letti costituiscono uno sfondo che, una volta svelato, rimane incorruttibile dietro l’agire quotidiano. Sono una fonte di soccorso che di volta in volta supplisce all’inciampo del ragionamento.

L’idea è la solita che si aggira da sempre: “È possibile tra gli esseri umani fare a meno della violenza?” Ci hanno provato gli anarchici a dare una risposta in modo utopistico, prefigurando uno scenario futuro in cui si sono mischiati alla volontà di potenza di cambiare anche con violenza le cose. Di fatto, nella rigidità della separazione tra oggetti, natura vegetale o animale, uomini e dèi, la violenza è di casa, perché non c’è modo di muoversi senza urtare un qualcos’altro. Non credo che sia impossibile uscire dal dilemma, ma per prima cosa serve eliminare la ricchezza dei beni come concetto, in favore di una cooperazione e distribuzione dei beni di sussistenza. Come quattro vecchietti al bar, si può discutere di tutto. Quando rimane poco da temere, le idee si rischiarano nel graffio ruvido della nudità. In effetti, le vite di milioni di persone presentano una variabilità infinita, ma le idee che attecchiscono nella fioritura del tempo non sono molte. La cultura guida il gioco della massa in un recinto ristretto, obbligando le persone a guardarsi e a giudicarsi. I concetti sono posti sul tavolo come un carico che si amplifica nel rimbalzo della discussione e nella soddisfazione di sentirsi a casa.

Come nulla, le camicie vengono piegate sapientemente da una tradizione che si perpetua tra gesti simili e contemporaneamente diversi. Lineamenti invisibili collegano la progenie, che cerca di mantenere, per quel che può, una descrizione del mondo più o meno accettabile per chi si affaccia alla mortalità. Forse non è necessario, per esistere, accettare l’esistenza, ma di fatto nessuno si ribella, e la via è occlusa verso una possibilità altra di stare nel mondo o nel non-mondo, nel tutto o nel niente, o in ciò che è innominabile. Un testimone o un sussurro potrebbero indicare la svolta verso l’altrove, che non si arena su nessuna parola data.

Da bambino, bastava poco per aprire nella fenditura dell’aria un cosmo inesplorato e sparire per ore, fino a essere ritrovati dalle braccia di una madre dubbiosa su dove fossi stato. Con il tempo, la fretta ha lasciato in sospeso tutte le fenditure che a volte ti rapiscono in un breve viaggio lungo l’impossibile, che però ha il sapore della verità. Ti vengo a trovare sempre più spesso quando non te ne accorgi; il mio amore è diventato silenzioso e furtivo. Uno sguardo si posa mentre l’altro è in procinto di una svolta, un bacio mentre l’altro scivola nel sonno, cullato solo dalla presenza sicura.

Lascia un commento