Collezioni incomplete

Oggi è stato difficile mantenere il senso del dovere in una situazione di controllo burocratico nel nostro lavoro. In alcuni momenti, ci si chiede se le persone siano ancora al centro del nostro interesse o se prevalga ciò che appare nelle descrizioni formali. Un profondo senso di pesantezza e inutilità nell’impiego del tempo ha frustrato il nostro umore, portandoci a una dissociazione da una realtà incomprensibile. Da quando avverto questa sensazione di inutilità, cerco, nelle pieghe dei discorsi o negli angoli nascosti, l’entusiasmo che un tempo mi animava nell’osservare il possibile cambiamento in meglio delle persone.

Tuttavia, è da troppo tempo che non vedo o non sento una giovane brezza capace di scardinare le incrostazioni. Sogno ad occhi aperti la tastiera del pianoforte e la mia mano che scorre tra suoni in grado di riempire il vuoto. I suoni si trasformano in parole rassicuranti, dando vita a una canzone, esattamente come si cucina un piatto delizioso. Guardo oltre la coltre di tristezza che lo smog cittadino deposita sulle cose, immaginando il rifiorire delle condizioni originarie con colori vividi. In tutto questo, la catena delle conseguenze danza inesorabilmente, spezzando l’incantesimo e riportando lo strato di ruggine sul colore.

Mi muovo avanti e indietro tra un ufficio e l’altro, con la mente ovattata da un torpore causato dalla febbricola del doppio vaccino. Non riesco a ricordare, o meglio, non riesco a disporre gli eventi in successione. Così, tutto appare come un’unica immagine condensata in un’attenzione isolata. Oltre ai volti e alle espressioni, leggo le rughe di organi denudati dalla pelle. La disperata desolazione, priva di speranze, si manifesta per quello che è: un’imminente minaccia che non può essere scacciata fino alla fine dei giorni. Vorrei chiudere gli occhi e non ascoltare, neppure per un momento, il continuo lamento che si aggroviglia tra le mie intenzioni fino ad afferrare il mio corpo. La canzone, velata dal rumore di sottofondo, sale lungo le linee della percezione e, in un attimo, cattura il cuore in una stretta nostalgica. Tutto il tempo trascorso si condensa nell’istante in cui un solo ricordo appare con forza arrogante. La nostra strana natura umana ci porta a percorrere incessantemente passato e futuro, senza mai dimorare nel momento della presenza attiva. Vorrei dirti ciò che è già stato detto in un incrocio di vari me stessi, che in apparenza si sovrappongono, costituendo una identità.

Raschiare il fondo del barile è un modo di dire che indica la mancanza di comprensione su come affrontare le questioni. È il punto in cui la musica si silenzia e le danze vengono interrotte. Ora che buoni e cattivi si sono mescolati così bene, il gioco delle parti sfuma in una partita di tutti contro tutti. La fede è in conflitto con la tecnica, cercando di definire la nuova società monoteista da cui dipenderà lo sviluppo delle identità umane. L’assenza può rivelarsi l’entità dominante in una forma di trepida attesa, capace di appagare le masse mentre il diluvio imperversa sulle cose.

Fuori, nelle strade, tra confini visibili e invisibili, si specchiano sguardi muti, pronti però a trasformarsi in zanne. Un fiore cresce anche nell’abbandono più totale, testimoniando la possibilità della bellezza in ogni luogo e in ogni forma. Ma mi chiedo se siamo realmente pronti a cogliere, nel divenire degli enti, quel senso di eterno che potrebbe salvarci dalla schiavitù della volontà. Viviamo per ottenere sempre qualcosa o qualcuno; desideriamo ciò che può essere desiderato solo attraverso un effimero gioco che non produce soddisfazione, ma soltanto collezioni finite e incomplete, depositate in teche che ormai nessuno osserva più.

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