Invecchiando tra i bordi

In questo spazio sfaldato dal continuo ripasso del pulitore, l’aria profuma di disinfettante, nascondendo le ambizioni del vissuto. Vorrei correre incontro al giorno che si intromette al buio, ma le persiane mantengono la tregua ed il tempo passa senza che nessuno si muova. Di fronte l’ austera affermazione delle cose che si animano e chiamano all’uso…ma oggi mi sembra tutto così triste che evito ogni contatto con possibili attività. Fermo nella semi oscurità leggo vecchie storie in ambienti lontani sommersi dal suono nella mia testa colpita dal tinnito. Mentre il cuore batte lentamente si apre il sipario sulla scena evocata.

Le torsioni dei muscoli mi suscitano il ricordo di una corsa quando ancora era possibile farla. Capelli al vento ed energia da buttare insieme al mondo che ruggisce incontro. Sono solo piccole idee, fantasie che si allineano al gioco della costruzione in pezzi che di volta in volta si incastrano tra loro. Sento intorno il rumore del lavoro, l’incessante volontà di risolvere i problemi. Sarebbe la morte se per un attimo il modo fosse compiuto così come è. L’ ingranaggio si fermerebbe ed il senso delle cose non avrebbe più senso d’essere. Tra un attimo rivedo lo sguardo tuo come fosse il primo.

“Nessuno ti chiede più niente invecchiando”, si diventa un corpo inerte privo di contenuto. Si perde il piglio aggressivo di imporsi sulla scena perché dal punto di vista maturato con l’età lo si trova uno spreco di risorse. Dall’altra parte oltre la facciata di pelle avvizzita c’è una montagna esperenziale che finalmente trova una collocazione arguta di senso. Al netto della paura di morire invecchiare è una risorsa in termini di elaborazione della realtà fisica e metafisica. Peccato che solo pochi sono ascoltati veramente per quel che hanno da dire, per lo più nella concezione di senso in cui tutti siamo oggettificati: così come tali nell’usura si viene scartati.

Nelle incombenze quotidiane si riducano i grandi afflati delle possibili costellazioni di senso. Rigirando il sottosuolo alla ricerca dell’ inconscio mi ritrovo a pancia in su a guardarmi essere da me guardato. Sorrido gentilmente a chi passando si mostra garbato, mi manca la cordialità genuina ormai persa per strada dal roboante presente, immerso nel neo fascismo. Come sempre cerco di fare del mio meglio ma sento che ciò dico è superfluo, perché appartiene al paese che non c’è o non c’è più in evidenza. Non c’è più nessuno che aspira ad essere buono per il bello.

Sfrecciando: i casolari spersi nei campi, appaiono come visioni fugaci e dal finestrino si può fantasticare di storie, che mai troveranno conferma. Libertà di immaginare e ricomporre il mondo, a seconda dell’umore, che al solito fatica a rimanere sopra la soglia. Non vorrei più occuparmi delle emozioni negative, che si espandono a ragnatela; adombrando i colori riducendoli ad insignificanza. Il peso del male alla fine apre feritoie interne mordendo la carne ancora viva. Dal finestrino di guida, resto spettatore del mare verde, che viene incontro. Posso immaginare la vita in ogni arbusto con i richiami dei propri abitatori.

Il peso della gravità negli anni si fa sentire e la membrana che mi rappresenta si china un poco per sostenere l’ incombenza. Il corpo cambia lasciando un senso contraddittorio tra fuori e dentro in cui la dissonanza diventa possibilità. Vorrei lasciare andare le formalità ed il dubbio della sussistenza per guardare più a fondo il cumulo depositato dalla stratificazione dei miei passi. Guardare con gli occhi del veggente le ovvietà disseminate lungo il viaggio per risalire alla fonte. Tirare un respiro lungo senza sentire il pelo dell’ansia che solletica l’inerzia. Aspettare senza aspettarsi “alcun che” in una sobria mattinata di settembre.

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