Una stretta di mano

La tua mano coglie un leggero tremore tra le labbra appena sfiorate, una intimità preziosa che appena gustata evapora nella nebbia estiva. Al limite del percorso dovuto per senso morale, ripiego su i miei passi a ritroso cercando almeno di salvare i ricordi. Compreso il tuo..mentre accarezzi le parole…che sfiorano il cielo…nei momenti in cui nessuno sta a guardare…ed il mondo sonnecchia. Sospensione del giudizio in cima alle scale, dove una porta apre alla chiusura, frammentando la sequenza di un interno. Un lento camminare in attesa sul ballatoio sospeso: sull’onda di un oceano che spruzza salsedine nel vecchio meccanismo della vita.

La rabbia si insinua tra muscoli e sangue come un bava virulenta pronta ad eruttare, non ha margini quando il corpo invaso deve trovare rifugio nello sfogo. La possessione malefica è una forma d’energia che divora da dentro proiettando all’esterno una guerra senza tregua. Mantenere un equilibrio tra le bombe esplose e inesplose è diventata la quotidianità del camminante silente che ancora rispetta la natura ed i frutti. Sguardo sospeso appena oltre l’orizzonte del proprio naso. In modo da lasciare spazio al bisogno di conversare nell’oscurità, con il linguaggio della notte.

Si può tranquillamente camminare avanti e indietro sulle mattonelle appena lavate al profumo di lavanda e candeggina e sentire una leggera inquietudine per la perdita della stabilità eretta. Pensieri che si affollano e poi svaniscono nell’ombra di una leggera fitta alla schiena: cultura contro acciacchi al riparo dalla calura pomeridiana. Quotidianità che si srotola nell’infinito mentre alcune sciocchezze vanno in scena per ritrovare il senso comune di una relazione. Sento da oltre il muro versare il te nell’ora della ritualità, ed un po’ di serenità si sparge sulla tavolozza pronta a dipingere il vuoto. Una coralità d’intenti è la forma che smuove il senso di questo andare e venire.

A tratti leggeri la mano segna l’aria in figure astratte mentre tutto sembra statico nella giornata intensa dell’estate. Le ombre faticano ad emergere dalla luce calda e afosa che sembra mettere tutti i sensi in difficoltà. Il mondo già dato, si prende ogni parte della scena, e per quelli che come me che vorrebbero trovare una fessura; a volte il già dato, diventa l’inferno. Sono fiori quelli che si intravedono passare lungo la retta dei ricordi, in un giorno qualunque, dei tanti, sommerso dagli eventi recenti. Un senso dì sollievo i colori ed i profumi nella fugace evocazione infantile.

Resta difficile sembrare ottimisti in una situazione di pesantezza in cui lo sforzo è quello di sovrapporsi e non comprendersi. L’agitazione per il senso di smarrimento verso le certezze che piano piano si sono sgretolate lasciando spazio ad i grandi distruttori. Poesie infrante lungo i sentieri di quel nuovo mondo che non vuole nascere, un rifiuto verso il predominio umano sulle altre specie. Un predominio che al momento è solo dettato dalla parola e costruito sul pensiero, per cui sorretto dalla fragilità di un essere che si crede provenire e ritornare nel nulla.

La fragilità della pelle divide due entità che indissolubilmente unite vivono divise. Frammenti delle Lodi mattutine echeggiano tra le porte aperte della chiesa. Sono questi i momenti di un transito tra spazio del tempo che sovrapponendosi si annullano. Un tempo si scavavano fosse per seppellire i morti, oggi si sparisce nel fuoco riducendo lo spazio che si occupa, poi…un domani si tornerà ad essere cibo per la natura. In viaggio verso una idea che possa decifrare l’incognita della presenza e assenza dell’apparire come interrogativo o come perpetua domanda che interroga in modo inesorabile la coscienza.

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