Pattinando nel sogno

Le notti oscillano tra il filo discreto dell’ombra proiettata sul soffitto come una porta aperta verso l’oltre mondo. In solitudine fisso lo sguardo con gli occhi chiusi sullo sfondo aperto della memoria in un esercizio del respirare con cadenza misurata tra il fuori ed il dentro. Le parole immagini si formano sullo sfondo di un orlo inenarrabile rincuorando il senso di una identità che ancora vive agganciata alla realtà. Rimango lì ramingo come una pagliuzza in balia dell’oscurità ovattata in una notte come tante, respirando con lentezza nell’ immobilità dei significati. Da lontano mi attende il sonno che senza preavviso coglie all’improvviso.

È la luce che mi porto dentro mentre cammino sulla neve estiva che guarda negli occhi il prossimo. Un giudizio che sorge dal movimento e dal contrasto con gli oggetti sulla scena del giorno. Poche battute sul tappeto uniscono estranei nella lotta contro il vento mortifero delle idee marcite. Non solo la carne si fa putrida e stantia ma anche lo spirito si decompone a idea del nulla come piacere d’annientamento. Nel mondo le trame dell’equilibrio fluttuano sulle narrazioni in correnti incontrastate nel largo intreccio delle riflessioni. Ciò che manca o è insufficiente sono: i vecchi o giovani saggi che sanno decodificare i flussi del sentire.

Dentro ad i mille discorsi si può sguazzare come in un acquitrino nel parco cittadino mentre il flusso del camminare va avanti interrottamente. Alcune bombe rischiano di cadere nel mezzo del racconto…ma ormai c’è un po’ di abitudine nell’aspettarsi la tragedia di questi tempi. Non che altri tempi possano dirsi diversi…le bombe sono il paradigma del Sapiens…un modo vendicativo di evacuazione e occupazione di ciò che non è ancora posseduto. Non tutti condividono per fortuna le gesta predatorie…ma, i miti sono timidi nell’esprimersi; e come i bradipi vengono annientati ancora prima della mossa.

La scena di una cattedrale in rovina domina il secolo come un battere di ciglia. Le rughe marmoree spinte in basso dalla gravità nascondono il guizzo giovanile del pensiero che fu. Alcuni massi in lontananza testimoniano la contraddizione di altre idee che hanno scavato solchi nell’architrave originaria. Sono i nostri resti disseminati un po’ ovunque, lasciati a testimoniare ciò che di volta in volta ci vogliamo raccontare. Un borbottare che ribolle oltre il bordo ricadendo nello spazio intorno spegnendosi. Sono scaramucce d’opinioni sotto il cielo aperto di una storia personale di un mortale che senza volerlo calpesta millenni di detti.

Il sole che spacca nel paesaggio archeologico porta a sudorazione un rigurgito di noia mentre il libro dei racconti si snoda nell’aria. Tutto in torno il richiamo di ciò che non è più ma presente ed influente in quel si ascolta ora mentre si è ancora vivi. Guardo la destra e poi a sinistra ma non vedo altro che piana dritta verso l’orizzonte nero del pensiero. Forse sono smarrito nell’offuscamento dei sensi rapiti dall’antico ritualizzato nell’oggi come altre cose insensate che favoriscono un castigo divino. Penombre tra i sassi piegati dall’intemperie e dal frastuono dei discorsi scellerati dei padroni della fede.

Un diluvio copre i contorni netti dei ciottoli calpestati da sempre senza riguardo, le pozzanghere si allargano nel crepuscolo mentre ci si rintana nella casa. Un vento d’espiazione ristagna tra i quartieri cittadini, richiamando le persone ad un sobrio stile di rinuncia. L’evocazione dei disastri imminenti non sembra frenare la frenesia esteriore delle giornate, forse il tormento è tutto interiore vissuto nell’intimo della dimora. Da soli sciamiamo verso la conclusione del tempo dato senza che si possa sbirciare al di fuori, o fuggire in altre scie temporali come un pattinatore impertinente a cavallo della poesia eterna.

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