Brutale ignoranza

Le circostanze inquiete con cui la bizzarra nomea del posto ha reso il mio umore così melanconico da intimidire ogni mia parola. La foschia bruna avvolge il cascinale e oltre si stende a perdita d’occhio i pennacchi del grano ormai alti sciabordando all’uniscono nel vento. Nel sogno sono paralizzato nel fango davanti casa e costretto a seguire la danza del grano che si fa minacciosa. Quali sentimenti strappa a forza il sognare? Una forza inaudita capace da sola di leggere veramente il cuore che durante il giorno se ne sta nascosto nel chiacchiericcio.

Le fronde sono tutte presenti nell’arco dell’ ombra ed hanno il volto degli sfruttati che l’ambiscono il lato estremo dell’ umanizzazione delle cose. In corsa per il consenso la strada diventa solo oscurità e possibile inciampo nel tempo glorioso della schiavitù. Rimango sempre un po’ attardato sulla soglia, inattesa forse che tutto sparisca in un lampo dalla memoria. Smemorato così entro nel aldilà dove nulla è l’attesa e nulli sono gli attenditori. Oltre quelle mura l’incenso e salmodia nel canto che unisce in una sola anima la moltitudine nella manifestazione di una festa che è tristezza.

Da soli ci si spinge ad i confini della comprensione ingaggiando una sfida con il racconto dell’altrove che mai si può palesare. Dentro a questo confine della fisicità passeggio per una città che può assomigliare ad un luogo del futuro come ad un luogo del passato, dipende dall’umore e dall’agitazione delle cose che si muovono all’interno. Il giardino posto al confine a cui ci si può arrivare con le sole forze delle gambe, esso attende il riposo e quella quieta riflessione verso tutto ciò che si agita intorno. È un modo per partecipare stando in disparte con equidistanza dalla sofferenza che se passa può dilaniare ogni nascita del pensare. Il ritorno è un cupo presagio per un trascorso che prima o poi si dimentica.

A giorni chini sull’asfalto attorcigliati su se stessi in una auto proclamazione dell’essere. In un filo di storia che unisce le generazioni nelle varie costellazioni del possibile. Saluto con mano tesa la luce che dalla strada fende verso la cornice oscurata dai tetti. I rumori sono piombati al suolo come una guarnizione che non viene più via, ossidata nella storia dei passi che da sempre vanno verso la lontananza. In qualche modo cerco di dire la mia che come sempre scivola via verso altri detti o già ripetuti. Sono rappreso ad un gancio che nella parola ha il proprio perno.

I sogni non diradano nella veglia ma si appostano nelle rimembranze per poi emergere nelle varie ore del giorno. Sono un richiamo alla percezione in modo che non sia così scontata la realtà. In parte sembra una navigazione in mare aperto mentre si cammina per la solita via della consuetudine…”una improvvisa vertigine per la vastità dell’ignoto”. Guardo le mani che segnano l’età e ritrovo il gusto del fantasticare mondi in parallelo, con vite che animano intere sezioni del mondo inventato, famiglie che si ritrovano nel centro di una oasi senza Dio.

Un saluto al mare prima di mettersi in cammino verso l’ entroterra dove l’ombra di un ricordo aspetta di essere colta. Mugugni insoliti nel viaggio che separa il vasto orizzonte da brevi spianate dei declivi intorno alle costruzioni decadenti. Sento questa stanchezza che avvolge le fibre non mollando mai la presa sulla pessimistica risoluzione degli eventi. È il disastro che si annuncia fortemente anche se sarebbe facile evitarlo ma nelle bocche degli uomini già c’è il piacere per il gusto del sangue. Si alzano preghiere ancora prima che servano nella piazza affollata dai curiosi che ormai non nascondono più la vergogna per la brutale ignoranza.

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