Segni per una storia

Il sogno continua nelle strade strette del paese che perdendosi oltre il limite dello sguardo sgrana una premonizione su altri mondi. Da fermo, in un letto che è dimora e viaggio nello stesso tempo, assopisco il tentativo di velocizzare il trascorrere che imbizzarrito morde il freno. I miei pensieri che sono anche i pensieri di altri si intrecciano con la vita delle cose animate ed inanimate dilagando per la radura apparendo dal fondo che permane nascosto per sempre. Oggi ricomincio a danzare con gli arti di qualcun’altro ed a cantare con la voce di chissà chi, ma nel contempo rimango fedele a quel nome che fin dalla nascita è appeso alla mia faccia. Dal fuoco e dal maglio della forza si sprigionano forme create per mutare la realtà monotona che si presenta ad un Dio. La trasformazione é l’arte principale in cui una vita si spende dall’inizio alla fine, ci si incontra sfiorando il senso del conoscere per poi sfrecciare nella propria diagonale. Prigionieri nelle case di proprietà si spende il tempo in posti noiosi per rendere conto al debito contratto. La libertà del cielo è rimasta per i pochi che con la pelle resistente come una pelliccia, sposano la Terra come compagna d’avventura. Il suolo che scalda può diventare dannato e congelare lo spirito avventuriero nel cammino intorno al nucleo dell’essere senza enti. Una spugna ricolma abbandonata aspetta solo di strizzare l’assenso al camminatore distratto dai propri pensieri. Alla fine nella metafora della macchina siamo rimasti prigionieri illudendoci di andare in contro alla libertà, persi nel bailamme del ferro che macina calore illudendoci che non c’è limite alla trasformazione. Ora che vorrei fermarmi nel bel mezzo del ciclone rischio di essere annientato dalla calca disumana che preme senza consapevolezza verso il baratro del portello senza uscita. Un esercizio doloroso il saper stare nella propria radura che l’orda consumistica cerca di divorare come divora ogni cosa che abbia un nome. Come nel mito: solo se si diventa “Nessuno” ci si salva dal ciclope, mischiato alle pecore che vanno incontro alla morte belando. Traffico mattutino con conseguente gas di scarico che si insinua dalle finestre, insieme ad i suoni attutiti che da dentro le vetture stordiscono umani incolonnati. Da qualche parte dovrò iniziare a smontare la sovrastruttura che negli anni ha appesantito il movimento e rallentato il pensiero. Alcune zone del sentire sono completamente apatiche in funzione del predominio della paura per i segnali dello spegnimento della vita. Sfilano i corpi accompagnati dalle parole un po’ sbilenche, una passerella che rende gli spazi vuoti riempiti dalle emozioni mai riconosciute. Le sostanze stupefacenti sono un nemico insormontabile per noi operatori, non c’è paragone tra l’efficenza della droga rispetto a qualsiasi cosa che possiamo raccontare per dissuadere al consumo. Il servizio ambulatoriale come snodo o attraversamento di umani, che costretti a guardarsi a volte si parlano… si incontrano… si scontrano. Una stazione in cui le narrazioni si intrecciano e…confondendosi ampliano lo sfondo del paesaggio e della comprensione. Il suono del campanello, lo sbattere della porta, sono annunciazioni di entrata in scena con conseguente occupazione di uno spazio. Uno dei viaggiatori ha “le urine pulite”ed è come se avesse vinto un premio. Verso sera una telefonata di chi vuole farsi fuori: “allertati i servizi di soccorso”. A volte un pensiero sorge sul limite a cui attenersi rispetto alla volontà dell’altro nel volersi far del male. I rintocchi vibrano dentro a queste stanze assembrate nel tempo “alla bell’e meglio”. L’utopia di trasformare il male in bene è comunque una volontà di potenza, è comunque una imposizione di una idea rispetto a un’altra, non sembra esserci via d’uscita a questa situazione.

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