La roccia ha da sempre vinto

Una strana sensazione si sprigiona dalle viscere increspando la visione degli oggetti che assumono connotazioni di senso incerto. Questo lento avvizzire confonde i sensi in una lenta immersione nell’incertezza da cui è difficile sfuggire. I fatti della cronaca sono echi distanti e insapori, non riescono ad imprimersi nell’emozione lasciando uno stato di apatia dietro al racconto. Niente è diverso dalla solita quotidianità (in apparenza) ma sembra che il mondo nella nottata sia stato sostituito da altro da sé. Oggi l’eco delle donne uccise lascia scorrere una fiele nell’ inconscio collettivo senza una via di redenzione si prospetta una guerra totale. Maschi non uomini si giustificano in fedi assurde o in usanze sostenute dai ricchi nella lotta contro i poveri. La terra che nuda si espone allo sguardo ed alla storia antica di chi è passato senza averne contezza della ricchezza calpestata. Nei giorni di ferie penso al tempo come ad un nemico che corrode la speranza di tutte le avventure che ancora non sono realizzate, e immobile aspetto che il giorno si tenda nel compimento dando segno di un qualcosa che non sia un niente. Rifletto sulla perdita da una posizione di incompletezza e mi accorgo che le mancanze sono maggiori delle presenze. Lati in ombra addormentati, e…ripeto sono in ferie, ma non mi sembra, non colgo il significato del staccarsi da cosa o da chi. Guardo fuori ed il sole mi viene incontro ed insieme con tutti gli anni vedo cadere foglie…ed uccellini volare via sulle nuvole rossicce. Caldo anomalo nel freddo dell’inverno che trascorre placido nel corso della sua presenza, un invito ad uscire nel rumore assordante del macchinario umano che si dispiega in tutta la città. Le suonerie si rincorrono come nuovi animali abitatori del selciato, mentre da sopra le teste i piccioni cercano di farsi ascoltare mentre adocchiano una possibile preda. Uomini, animali e vegetali non si ascoltano più in questo lungo inverno di devastazione in cui ognuno cerca di prevalere, in una lotta che già la roccia ha vinto da prima che tutto cominciasse. Non c’è solo la Terra, ma al di fuori di essa c’è l’infinità che gioca il suo ruolo nella metafora del nostro discorso, il fuori é pronto ad ingoiare ogni residuo dell’apparire sbriciolando l’evidenza in un mare di incertezza fino a lasciare la razza muta e insignificante nella vastità delle stelle. Alterno giorni in cui il corpo funziona ad altri che senza un motivo consapevole “mi lascia a piedi”in una situazione di trascinamento degli arti come stracci buttati su una sedia. Raccolgo l’umore da sotto le vetrate della cristianità per guardare oltre il limite imposto, lasciando scorrere le parole scritte tra le varie vite. Il Natale è un fine stagione che in una bolgia confusa racchiude l’essenza del capitalismo. Un brindisi al nulla che è come ieri in cui la ritualità rassicurante appartiene ad un pensiero discorsivo dal passato verso il futuro. Le ombre che intravedo mentre fuori c’è ancora il sole dipingono le immagini racchiuse nella riflessione che colgo come segni della presenza, esse sono una compagnia muta che sospinge i sensi nelle polarizzazioni. Vedo sempre te che mi vieni incontro per ristabilire la quiete in un fortino dove asserragliate stanno le voci nascoste dei diari impolverati. Al solito oggi ci facciamo gli auguri sotto il sole quasi estivo in tempo d’inverno, qualche regalo e tutto si rasserena in una giornata in cui per un attimo la corsa si arresta. La distanza delle cose dette a quelle fatte é un primo bilancio che lasciato cadere sul tavolo rimescola il giorno di festa e accoglie l’ imbrunire.

Lascia un commento