Il cielo sotto il sole

Oltre il significato nella fila impettita dell’adunanza si nasconde un certo modo di stare nel mondo, ordinati per rango gli uomini si sottomettono al tempo che con rapidità li ingrigisce fino all’infermità per una sostituzione con altri uguali. Solo pochi hanno il germe dell’ eternità e comandano con invisibile tenacia le sorti di una certa idea delle cose in modo da mantenere perennemente il potere di sovranità. Questa storia in apparenza distopica non è altro che lo scorrere quotidiano delle idee incarnate nel lavoro per la trasformazione degli oggetti a cui di volta in volta diamo più o meno importanza. Oggi rivedo una sequela di “immagini ricordo” e stranamente un senso di estraneità mi coglie di sorpresa, è sempre un “come se” da qualche altra parte ci fossero altre possibilità, ed infinite ripetizioni con impercettibili variazioni che si espandono lungo un asse che non rappresenta il tempo ma la fissità. Ascolto il rumore del presente tutto intorno in una architettura dello spazio che mi rappresenta per quel che sono, il tutto legato da lacrime e sorrisi in una sinfonia emotiva che lega il sentimento ad alcuni ed non ad altri. Sento il richiamo di un dovere che da sempre mi schioda dalla coltre informe del sogno. Cosa dire? Piove un’acqua gelida e sporca: come catrame che invischia i capelli e la pelle, facendoti puzzare come un detrito da scarto di lavorazione industriale. Nessuno si chiede perché? È normale starsene rinchiusi in una prigione che avvelena e appesantisce ogni velleità di felicità. Da carnivori giriamo nella nostra città da predatori con il vigile istinto di fare del male: ogni cosa vorremmo che fosse altro da sé, così…sbranando il significato in frammenti, che dispersi poi non riescono più a ricongiungersi, lasciando dietro di sé ebbra ignoranza. Il cancello sbatte…prima o poi si romperà, l’ignavia nell’accompagnare un aprire e chiudere segnala solo un abbrutimento della socialità. Trascorsi i minuti nelle ampie dimensioni delle ore il rituale meditativo si sofferma sulle piccole variazioni e oscilla incantato nelle vastità invisibili. Un rintocco nella memoria il suono della campana che diventa l’immagine della chiesa durante l’infanzia, “chissà perché il ricordo è sempre d’estate in una via demarcata a metà dalla luce e ombra del sole di mezzogiorno “. Il percorso della vita coincide con quello della riflessione nei svariati incontri per capire l’umano, ed ora che la necessità si chiude in me, rivedo in una rallentata dimensione del tempo le stesse immagini con lo sguardo da pittore, attento alle sbavature del colore. Vorrei trovare il modo di sbaragliare il ragionamento per saltare oltre le strettoie della logica. Nell’abitudine gli schemi si ripetono convogliando aggregazioni in comportamenti per poi ripetersi in continuazione. Ci si ripete come a confermare in modo ossessivo una presenza che forse non è così scontata, anzi la forza dell’oscurità sembra sovrastare l’identità. Aspetto l’orario per la routine mattutina in cui inizia il prepararsi, l’andare, ed il fare il lavoro. Una ripetizione dei gesti che se da una parte rassicura, dall’altra crea un’ombra di infelicità da reclusione. Si dibattono da sempre intorno gli strascichi delle anime che hanno abitato questi luoghi, sono folate fugaci per chi ha l’occhio attento per il perturbante. Si può sempre imparare qualche cosa dagli antenati che sicuramente hanno dato nomi diversi alle cose. Alla fine il problema maggiore sembra proprio quello che diamo al termine “fine”, annientamento di un qualcosa che c’era e ora non c’è più. Il pensare possibile la riduzione in nullità ci permette di giustificare la violenza e lo sbranamento degli enti pensati come singolarità. Rimango solo in questo mattino con un pesante fardello sullo stomaco che allevio abbracciando l’altra metà del cielo.

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