Novembre 2023 (2)

Un refuso è come un ricordo che si attacca al viandante, il quale non compreso permane tra le pieghe del presente ed inclina lo spazio tempo fino a distorcere il futuro. Un assonnato personaggio occupa le stanze che a poco a poco si schiariscono nel primo mattino, pellegrino da un’altro mondo cerca di adattarsi agli oggetti che tutti i giorni gli vanno incontro, ma che tutti i giorni sembrano estranei. La condizione dell’erranza in vecchiaia rispecchia l’era della sera dell’Occidente, un crepuscolo descritto dai poeti, ma mai preso sul serio dai burocrati del protocollo. Nani grandi con finte gambe e grosse pance sono i veri extraterrestri che senza mai essersi staccati dal suolo risultano lo stesso completamente estranei a questo Mondo. Siamo sempre di primo mattino e le idee si spargono un po’ per tutta la cucina tra il profumo di colazione e alito notturno, anche da fuori i rumori rispecchiano l’inizio come tutti i giorni senza fallo. Scrivere lo stesso verso aiuta il narratore a riprendersi la scena, delineando tra le righe una personologica struttura che resista alle incurie del tempo, una caratterologia dei sinonimi e contrari che si impasta sulla tavolozza della rappresentazione. La pedagogia resiste alla tentazione di essere altro da sé fino a quando gli umani non hanno altra soluzione che stare insieme in gruppi per darsi una identità e una forma. L’educazione è un maglio più o meno libertario che scandisce le forme del futuro, basterebbe un investimento massiccio solo sull’educazione per cambiare le sorti del mondo. Probabilmente anche la filosofia è educazione, di fatto il discorso intorno all’essere non è altro che una riflessione sul come essere nel mondo, per cui pedagogia del come stare in relazione tra essenti. Va beh! Ci si incarta spesso con le parole e a volte sfugge il senso del perché si è scelto questo strumento per capirsi, probabilmente ci sono anche altri sistemi e nelle varie ere gli esseri avranno sperimentato altre soluzioni. Siamo nell’epoca della narrazione per cui anche se siamo in presenza e vicini quasi a toccarci, prevale la mediazione del racconto il quale nasconde ciò che sta nello spazio contiguo. Affidandosi al discorso non solo si affievolisce la percezione della vicinanza, ma si dimentica anche ciò che avviene nello spazio interno all’essere in cui il sentire si trasforma in metafora della narrazione. Spogliati dal gusto della creazione si naviga raminghi tra un centro commerciale ed un altro in una coazione alla ripetizione per un attimo dì ebbra illusione. Ritorno spesso al tempo passato per annodate concatenazioni d’eventi in una ricostruzione che restituisca maggiore dignità a ciò che faccio oggi. Ma, sfugge sempre più il collante che tiene le colonne del senso, il sopra ed il sotto, l’avanti e l’indietro, il grande è il piccolo e via così in un mare increspato di dubbi. Un mare che è sempre più presente nell’immaginazione, appunto perché manca nel contesto ordinario delle cose solide. Una schiuma che lambisce al risveglio i limiti dei pensieri scombinati dalla burrasca notturna, con il moto perpetuo dell’onda che richiama verso le profondità la coscienza inchiodata alla terra. Vorrei alzarmi ed andare altrove dimentico di ciò che sono, camminando come un’onda che forse è sempre diversa o forse è sempre uguale. Da poco ci siamo ritrovati in questo incrocio tra strade diverse che intersecano un paesaggio nostalgico, due parole dette così senza troppo meditarle evocano altre strade che non ci sono più. Ora ricordo di essere nella gabbia che l’educazione costruisce con la pazienza del domatore quando si appresta a preparare lo spettacolo.

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