Novembre 2023 (1)

Ossa rotte buttate sul letto di sbieco per dare forma all’inquietudine nella fissità della forma, è un tratto d’immagine emergente nel fondo di una comune serie di luoghi comuni. Disarticolata reliquia del mondo passato che invecchiando entra nella sfera futura che, una volta assaggiato ha già il gusto del passito alcolico. Un narratore qualunque conoscendo le fasi della malattia può prevedere i vari stati dell’animo che si intersecano a definire l’umore che inchioda la vita al corpo e questo ultimo alle parole della sintassi. Niente parrebbe vero se non fosse raccontato per quello che le parole vogliono significare senza per forza avere un legame con la carne. In effetti per un narratore tutto può essere detto senza paura di smentita essendo più duraturo il discorso di una singola vita. Altalenante me la sbrigo ogni mattino con un giudizio che poi mi porto appresso per il resto della giornata, di solito il significato è lapidario, non uso sconti per me stesso, essere un cinico comporta un sacrificio importante verso ogni possibile sbavatura della logica di dominio su di sé. Incontro volentieri chi non vuole farsi incontrare, uno scambio alla pari di sprezzante sdegno, nella bufera che imperversa negli animi sempre più folli nel reagire alla tragedia. Ma da sempre le comunità umane non sanno stare nella semplice dialettica della commedia in cui la violenza è esclusa, si evidenzia sempre un scivolare nella tragedia, dove l’odore del sangue infiamma i cuori e sguaina le spade per uccidere. Anche oggi da un qualsiasi programma televisivo si duetta in civetteria mentre su un altro fronte si esplode in mille pezzi. Tutto è tenuto insieme dal racconto che riporta per ognuno l’estraneità alla responsabilità, addossandola ad un sosia che funge da portatore del flagello, un doppio per ognuno che gira per il mondo con l’infamia dell’assassino. Il narratore mi rincorre sulla strada del quotidiano per indicarmi che la stanchezza del parlare può essere rischiosa per i pazienti che attendono parole. Come ci si può sottrarre al lavoro quando il proprio fiume è in secca? Gli chiedo. Mi risponde che non c’è alternativa perché la secca è solo un modo per scavare più a fondo dove l’acqua è antica e aspetta di essere raccolta. Ma, cazzo rispondo, non voglio scavare, ma stare con le mani in mano, basta rimestare brutture! Il narratore sorride mentre insieme abbiamo ripreso il cammino evitando la folla che si scansa di fronte al nulla. Quali sentimenti pescare nel mucchio dalla cesta in vimini antica posata all’angolo della stanza, un suggerimento al giorno per non notare la parete scrostata o la patina che ingiallisce le cose invecchiandole. Sei tu? Che suoni alla porta! Insisti! Ma non posso muovermi al momento sono senza arti perso nello spazio etereo del sogno immobilizzante, posso percepire il fuori ma solo come spettatore. Sono le stranezze umane in cui il mondo è diviso in varie sezioni: il sogno, il quasi reale, poi il reale, e l’irreale e infinite sfumature in cui mai nulla è certo ed è forse questa la cosa sicura. Il successo dell’ inconscio è insito nella natura stessa della percezione a grana grossa delle persone, per dare un nome a qualche cosa abbiamo bisogno di estrapolarlo dall’infinità non apparente su cui poggia la cosa, per cui per dare un nome abbiamo bisogno di scartare altri mille che non vedremo mai. Cechi e sordi in un mondo assordante che nonostante si palesi resta velato, il narratore scivola al mio fianco con non curanza verso chi guarda il suo aspetto indefinibile, in questo è maestro e sa confortare senza indulgere nelle preposizioni. Anche oggi le schegge impazzite agitano la superficie dell’animo imponendo un ritmo alla ruota del carro nella sfera mitologica delle emozioni.

Lascia un commento