Il sole a tratti si abbatte con sfarfallio sulle cose inanimate smuovendole dalla fissità indugiando per un attimo in un altro mondo animato da altri sconosciuti. Quando guardo dalla finestra tutto appare senza volerlo in una certa misura più o meno, anche se sento in fondo all’immagine una stonatura di una certa cosa che non torna, una sensazione della finitezza che impedisce a ciò che sta di farsi comprendere. Mi giro e la penombra ristora dalla piazza sempre aperta in un vortice di voci che si ripetono le stesse cose rassicurandosi. Per un attimo ripenso alla giornata di ieri e mi sembra finta, ho fatto ciò che ho fatto? Scorrono le parole dei discorsi quasi uguali a come sono successi ma sembrano già proprietà di altri. In qualche modo anch’io cammino sulla forza di gravità che mantiene unita la coscienza, ripercorrendo infinite volte le righe della scrittura che mi permettono una pur minima sopravvivenza. In questa che è la mia casa condivisa con i piccioni e cornacchie rimesto il tempo confuso della natura in fiaba. Sono le voci dal passato che da dentro costruiscono un senso alle conformazioni della violenza che si espande con una certa rapidità, sento grida dalla strada e ci ritrovo tutto il male del mondo, che significato ha insulare per banalità e poi riprendere un cammino uguale senza battere ciglio. Parlo con il mio cane del più e del meno con la certezza di essere ascoltato, ed a tratti capito e contraccambiato nella relazione, vorrei estendere a tutto ciò che è vivo questo discorso per superare la gabbia della specie che in qualche modo non ci permette di uscire dal racconto impostato dalle cose classificate. Il risveglio tuona tra un ormeggio ed il bussare delle onde in una semi realtà che solca le pareti e rifrange tra i nervi, temo le richieste che stanno in agguato lungo la giornata, ed il senso del dovere verso una sofferenza che ormai ha esaurito ogni mia capacità. Sogno qualcosa di leggero che tenga nei discorsi non l’urgenza della risposta, ma la possibilità di una attesa per guardare un po’ più in là, scaturire qualche sorriso per parole che non uccidono, anzi, evocare predicati che fanno venire fame e voglia di condividere. Defluisco attraverso le stanze quotidiane in una apparente incoscienza, il vento si fa sentire e rompe alcune cose per essere chiaro nelle intenzioni. Penso al gesto educativo come al primo movimento della bacchetta del direttore d’orchestra, un primo atto decisivo per ciò che succederà dopo. Il gesto che accompagna la parola seguita dallo sguardo possono agganciare una attenzione e portare la persona nel mondo della possibilità.