Settembre 2023 (1)

A zonzo… inerpicato su una cresta, dove il camminare diventa una avventura mentre il resto scompare dietro a delle nubi cariche dal vento mattutino. Sono distratto dal pensiero che d’improvviso possa comparire una città fumosa sopra il crinale ed invadere la solitudine della roccia. Proseguo passo dopo passo sulla linea che separa un vuoto dall’altro e sento in questo una affinità con la vita di tutte le cose intorno. Non voglio guardare dietro, ma tirare avanti come un mulo finché le gambe possono reggere ed il respiro risuonare con la valle nell’ intonazione di un motivo melodico familiare. Cerco il significato segreto del rifugiarsi nel pertugio di una porzione del mondo al momento deserta, in una assenza dalla umanità che inchioda ad un certo senso e non altro. In solitudine ostinata dichiaro il mio amore, che nella delicatezza rispettosa dello spazio che abbiamo, lasciando che i vincoli non siano una prigione e godano dei suoni che animano l’aria. Trilli acuti nel tempo sornione dell’inizio settembre, o un ciabattare agli angoli oscuri per animare cose altrimenti inanimate, in poche parole l’anima dell’essere che soverchia sulle cose.

Nell’ austera corte riparata dal vento dentro al mio modo di pensare la località sperduta che sta dentro ognuno di noi. Bivaccano i fantasmi figli del tempo e legati agli umori degli uomini che sono vissuti nei dintorni. La storia segna dei vertici nel ricordo che collegandosi sopiscono le trame nascoste che hanno reso possibile la mutazione. La defermonitá non è mai tale se avviene su una scala abbastanza ampia e omogenea rendendo consueto l’inconsunto. Per cui in questo stallo, gli intrecci delle narrazioni si avviluppano su un reciproco consenso, in cui gli scarti trovano spazio solo aldilà della scogliera nel vasto spazio dell’ignoto. Gli scarti sono la pietra filosofale del futuro; perché: nella libertà dalle definizioni possono oscillare in qualsiasi stato sperimentando le forme dell’ inaudito. Con un gomito appoggiato alla ringhiera del davanzale sul cortile cittadino, dove regna un metro quadro di vegetazione addomesticata, guardo oltre la trincea dell’aria spessa, per immaginare le molte configurazioni ancora inesistenti. Anche oggi molte morti vengono servite sul piatto dell’informazione come monito nella scala di chi sta bene verso chi sta meno bene. Informazioni lanciate su autostrade dirette nell’intimità degli individui e come proiettili esplodono davanti agli occhi in meraviglia e stupore.

Si continuano a perpetuare le usanze, le quali insieme a tutte le altre formano il contorno del mondo, i rumori e le parole tagliano la scena per primi, essendo i corpi nascosti da indumenti e condizionamenti. Si scambiano chiacchiere all’entrata esposta al sole in modo da stabilire connessioni con l’esterno, i passanti guardano ed alcuni sorridono per una ritrovata umanità nella generale abbondanza di insignificanza. Sono giorni… o forse sono anni che appesi ad un respiro susseguono incastonati nel tempo ordinario dettato dalla legge. Non credo che di fatto ci sia uno scorrere lineare temporale, ma la fede ci porta ad assegnare nomi e struttura allo spazio, per cui alla fine siamo un po’ quello che ci raccontiamo. In questo tipo di narrazione siamo diventati dei specialisti, al punto che i segni d’inchiostro sulla carta possono decidere della nostra vita o della nostra morte. Giovani sbandati girano per la strada estranei ad i loro corpi, i quali vengono usati come rappresentazioni di una trama teatrale. Infatti dall’epidermide al vestito la sceneggiatura tatuata rappresenta un altro da sé, il quale prendendosi la scena ne diventa padrone creando il legame di dipendenza tra vittima e aguzzino. I folli giorni degli uomini che non riescono a pensare che una semplice blatta ha molto più storia e possesso del mondo di quanto noi possiamo aspirare. Guardo con ammirazione la mia compagna che in un semplice spazio austero ha fatto fiorire dei fiori in un angolo di speranza nel nostro incespicare.

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