Nella sola giornata in cui una storia si dipana dalle ombre che oscurano le mille altre possibili. Da fuori un vento muove le opinioni che adornano i contorni lasciando rilucere i sentimenti che si spaziano tra le cose. Mi metto al centro della scena come un direttore d’orchestra per dare la nota d’inizio alla danza. Si può prendere qualsiasi punto del racconto e rivoltarlo come un calzino per rendersi conto che la morale non cambia. Alla fine le storie si possono ridurre a poche variazioni, di fatto siamo una specie che non gode di grande fantasia, la specialità più che altro è un fervido rimuginio, difatti per usare una metafora “lo stomaco della mucca ce lo abbiamo in testa”. È il sentiero dei ricordi che ci trae in inganno, all’apparenza sembra tutto lineare ma nella realtà è sconnesso e non segue la linea temporale come pensiamo. Di fatto il tempo è un costrutto che di presente in presente è impastato come la farina per il pane che ogni giorno da un risultato diverso restando sempre pane.
Occasioni perdute che lasciano un sapore amaro al risveglio mentre fuori l’ordine casuale viene rispettato nell’abitudine consueta. Forte è il richiamo della confusione distruttiva in cui non ci si riconosce nell’ ordinario, quindi il spaccare tutto sembra meglio dell’attesa del nulla. Leggo visi da dietro una scrivania e sempre più una patina di vecchia intolleranza copre i confini tra individui, pronti a scansarsi per futilità che in fondo ormai sono meglio dell’inedia riflessiva. Percorrere un tratto a piedi sotto il sole che con forza si fa sentire come un amico esigente in vena di attenzioni. Il sole che da sempre ci plasma nella propria metafora esistenziale, non avremmo un nome senza la sua presenza. Per strada le cose dell’abitudine rendono conciliabili tutte le situazioni anche quelle che non sono affini. Ci si parla con sforzo, il giusto per sostenere la scena teatrale, insomma, quello che serve per continuare ad andare avanti per riconoscere nei gesti altrui i propri. Sottocollina un posto dove andarci per recuperare un po’ di silenzio e brusio della natura che ancora vive al tempo della stagione. Il corpo non ha solo bisogno di discorsi per appartenersi ma serve manipolarlo, accarezzarlo, strizzarlo per avere la concreta certezza del presente. Per cui sogno di andarmene dal mondo delle parole per stare un poco in compagnia delle creature che non hanno bisogno di raccontarsi per definirsi, ma basta la presenza sotto questo cielo che da parecchio tempo ci mostra ciò che non vogliamo capire.
Perturbazione in cima al colle discendente verso valle dove affaccendati si ritrovano minuscoli ominidi. Popolazione in perenne crescita nel contrasto con il colore verde che ancora fa contorno a tutto il resto. Mi risveglio di soprassalto indugiando nel sogno catastrofico che alla fine appare quasi migliore della realtà. Solita routine dietro le quinte di una vita in bilico tra pensiero e follia in quella che per molti è solo perdita di tempo, ma per altri è fascino dell’Intermezzo tra gli spazi vuoti tra le parole e le proposizioni. Mi inquieta la polvere in sospensione filtrata dai raggi del sole, distorce lo spazio rendendo il tempo sospeso al quasi nulla. Cammino avanti indietro nell’angusto tracciato che m’appartiene da quando da solo ricongiungo le linee tra gli universi che si suppone esistano. Mancano minuti alla nuova scena pronta prima che l’annunciazione fosse prodotta, è un mistero dell’ accadere quando un futuro avviene prima del passato, ma succede molto spesso di quel che l’attenzione distratta coglie. Per gentilezza saluto i condomini che non sembrano convinti, ma ostili, le vicinanze umane ormai sono mal tollerate, meglio saluti lontani, evanescenti nella propria irrealtà. L’aggressività è il nuovo collante delle relazioni e dei programmi educativi in una terra arsa dalla sconfitta del pensiero sulla verità dell’essere.