Tirando per le lunghe il discorso del mattino mentre fuori il gelo copre intere sezioni dello spazio, penso a quando il grigiore della melanconia assale all’improvviso la carne rendendola cenere. Tasto gli oggetti più volte per scaramanzia cercando di stare nel mezzo della precarietà umorale. Intercettando gli sguardi un attimo prima di schivarli, per arrivare alla colazione ogni santo giorno nella lotta per il disarmo depressivo, sempre in agguato nel crinale delle sensazioni, percepite nei cristalli dell’aria ristagnanti per la chiusura notturna.
Eco di voci arrivano da distanze siderali per poi scaldarsi nella vicinanza riconosciuta, trovando un solco nella guancia accaldata e solcata dalle pieghe del cuscino. La polvere inquinante domina le vie della città insinuandosi nei pensieri tristi di un popolo con il futuro nel passato. Un popolo dominato del fato della rassegnazione che scolpisce le sagome umane le quali variopinte solcano le strade.
Leggendo le fluttuazioni sentimentali appaiono come avanspettacoli del tempo remoto, perso in un sogno nella nebbia Lombarda dominata da talenti autoritari. Ancora oggi le vacche dominano il campo della pianura in modo innaturale ristrette in serragli e prigioniere senza dignità come i loro custodi, asfaltati da ogni parte dalle costruzioni destinate al fallimento e all’abbandono.
Solo un evento catastrofico ha potuto evidenziare la follia del saccheggio continuo della natura necessaria a questa modalità del mondo. Solo il terrore ha portato qualche lume all’attenzione delle parole ferme negli sguardi in cerca di comprensione, ma poco ancora si accende per permanere nel giudizio. Infatti girato l’angolo mi assale la rapina del mio spazio nell’inferno dei passi affrettati verso i mille doveri inutili.
Parlo con la cassiera del mini market per dare senso comune al pensiero, mi racconta del cane che non vuole capire le direzioni quando fa il giretto mattutino, scegliendo sempre la direzione contraria tirando il guinzaglio. Annuisco pensando che forse quel cane ha capito il mondo o forse il suo mondo, non so, ma mi è sempre più difficile restare in equilibrio, un giramento e la strada scompare, la cassiera diventa una busta della spesa rotta che parla, le insegne non indicano più nulla perdute nell’oblio pandemico.
Riprendo il punto scansando le macchine che incuranti sfrecciano, anonime come killer in agguato, attraverso la strada verso il parco per restare disorientato per il miscuglio di razze umane raccolte in poco spazio, da cui io sono inesorabilmente escluso. Per un attimo un fugace pensiero mi angoscia non riuscendo a trovare un luogo dove sono incluso, penso a casa, ma vale la casa dove si abita per essere inclusi in qualche cosa nel dispiegamento umano? Ma…un triste presagio cala dalle spalle ad i piedi; senso di solitudine incolmabile, come un giocattolo rotto che nessuno più guarda.
Continuando il cammino verso infinite rotonde dove attraversare è sempre un rompicapo e soprattutto un rischio, certamente d’inciampo al pensare. Le traiettorie imitano gli algoritmi scansando il guizzo dell’andamento improvviso con scarti rispetto alla meta. Leggo con curiosità i manifesti per spettacoli diventati obsoleti per la pandemia, riportano ad un tempo passato in cui ancora il movimento era libero. “Nel mito greco, la Teogonia di Esiodo racconta come tutti gli dèi siano stati generati dal Caos originario. Nella lingua greca matura, per esempio quella di Platone, la parola cháos significa “mescolanza”, “magma”, “disordine”. Il contrapposto di ciò che viene indicato dalla parola cháos, così intesa, è il kósmos (“cosmo”, “mondo”). Kósmos è l’insieme delle cose che è uscito dal disordine del cháos.” Rileggo mentalmente Severino con l’intenzione di arrivare ad un passo fuori dal cerchio della terra finita.
Ma mi aspetta una maledizione lanciata a caso da un stazionario delle discarica umana riverso nei cartoni come letto, che dal basso guarda il mondo prevedendone la totalità senza divenire. Il mistero è racchiuso nelle menti sganciate dalla frenesia del possesso e dalla smania di volere che le cose siano altro da se.