L’insolita questione discussa stando tra la porta d’entrata ed il corridoio con un accanimento verbale da risuonare ben oltre il raggio d’interesse. Così sembra ormai che le cose debbano essere dette, cioè al di fuori della ragionevolezza di chi è interessato, ma sputate oltre sulle facce inconsapevoli dei passanti in modo intimidatorio. Tutti devono sapere che non è più possibile pensare o dire ciò che si vuole, ma da dentro nasce la censura che piega la schiena all’orgoglio del libero. È un velo ciò che viene posto sulla vivacità dei colori della musica e della poesia rendendo opaco il paesaggio teatrale.
Catene calate insieme alla pioggia di primavera nell’attimo in cui la metafisica ha abbandonato il mortale insieme alle figure mitologiche dei sogni. Ora restano balocchi costruiti con farmaci e macchine parlanti nella sfera dell’ elettromagnetismo. Ci si sballa con serie televisive allungate alla bisogna per occupare divani e tempo senza casini in giro per strada. Aguzzini sono i maleducati senza regole che sporcano e lasciano i propri bisogni in bella mostra, a dimostrazione che la strada è un luogo di conquista e battaglia. Sgomitando si arriva ad avere ciò che sarebbe un diritto in una lunga sequela d’abitudini in cui il rovescio é diventato il dritto.
Una sequela di insulti sono le intenzioni della politica nel rendere la cosa pubblica una mera merce da supermercato. Le proteste che vanno in scena emergono dalla demenziale sbornia che negli ultimi trent’anni ha affossato il pensiero. Si cambia registro verso una serie di incognite in cui le polarizzazioni sono il modello del dialogo. Accampati nei centri urbani alcuni pensatori aprono la strada ad un nuovo maestrale al ritmo della musica acustica. Si schifa l’elettronica per tornare al rustico gracchiare del canto nudo e sfibrato ed un po’ stonato dal catarro. In cima alla montagna regna il silenzio perché la valanga ha già lasciato il vuoto verso la valle.
I malinconici non violenti s’interrogano sulla possibilità della violenza in una realtà macinata da una guerra aperta su ogni fronte. Come stare in punta di diritto nel discorso quando i cancelli del fascismo si sono riaperti al senso comune? Amanti della forca altrui zampettano baldanzosi all’aperto in cerca del posto al sole di vecchia memoria, ora che all’orizzonte una moltitudine di uomini di colore scuro stanno per spezzare ogni catena nell’orizzonte nord, sud. Lamenti di donna piangono i figli e le loro lacrime scrosciano come pioggia fine sull’Occidente alla fine.
Sottosopra il velo copre metà del mondo che incuneato nell’ irreversibilità del divenire non si accorge di ciò che non appare. I giorni tristi si affastellano a quelli lieti in quel margine nascosto che è il privato. Riprendo dal punto in cui qualcuno dice ad un’altro: “dove sono tutti quelli che: vissuti, ed ora non più presenti, echeggiano nella memoria dei presenti?” Non ci sono risposte che tornano indietro lasciando la stanza in sospeso nel sottovuoto dell’assenza. Mi sono allontanato solo per un momento e tutto è cambiato lasciandomi nel disordine da cui mai più potrò ritornare senza una rottura od uno spasmo.
Piedi gonfi per la forza di gravità che in modo estenuante non molla mai la presa. Un bivacco in cima alle scale lascia resti in giro con eco di risate e canti. Sembra tutto finito mentre con il fiatone arrivo a destinazione e per un attimo colgo il benessere della spensieratezza. Sono alcuni giorni che il pensiero della violenza mi avvolge e mi stanca al punto da non vedere una via d’uscita. Possibile che la trasformazione delle cose sia così cruenta da non lasciare un margine all’armonia della consonanza?