Ancora nulla è successo da queste parti, in lontananza si sente solo un lieve soffio della protesta che monta nei centri storici. Nelle consuetudini ci si trova a confermare che il cambiamento è lontano, ma come ogni valanga quando arriva non chiede permesso ma travolge con impeto e cambia lo scenario abituale delle cose. Stando alla finestra e guardando un po’ più lontano le previsioni vengono meglio, sempre se si è disposti a prefigurarsi lo scenario peggiore, rispetto alle abitudini. Per cui fisso un punto oltre l’ultima casa e immagino foreste che avanzano come i dinosauri che tornano a casa.
La ricetta giusta per una serata storta non c’è, neppure un sorriso giusto per una bocca serrata dalla paralisi del dilemma non c’è. La cosa giusta da fare quando un intervento educativo deve cambiare una situazione di fatto, da qualsiasi lato venga visto risulta una violazione, perché impone a chi vi è assoggettato un cambio di stato non voluto. Per cui si invoca il buon senso o il migliore bene da un punto di partenza che è sempre un preconcetto. Camminare attraverso le teorie dell’educazione è come stare sopra le uova in una consapevole situazione o “presenza mentale” in cui si possano rompere.
Tornelli grigi bloccano la gente che a onde si riversano come spinti da una volontà invisibile oltre l’ingresso. Uno sciame che ronza e si disperde nelle varie mete quotidiane. Basta una singolarità non conforme in senso opposto per spargere caos e disappunto in una giornata qualunque delle tante sottratta all’essenzialità del sentire il reale come vaghezza della forma. Stare fermi un attimo in più della marea per cogliere il silenzio del prima e del dopo rispetto alla gravitazione. Sono immagini le mie che si affastellano nel quadro della stanchezza del pomeriggio tardi mentre il fuoco brucia la bontà.
Alcune soluzioni sono già pronte all’uso per successione ereditaria dall’esempio dei padri e madri. Una intersezione di volontà che si spingono sul controllo delle cose per sedare la confusione ed imporre un dominio. Me ne stò a letto catturando suoni e visioni mentre dentro si spengono le luci del passato che non sembra più mio, infatti i suppellettili appaiono estranei come posizionati da una mano altra senza storia. In qualche modo vorrei restare ancora un po’ in questo presente ma dal fondo dell’oscurità avanza un gelo che avvolge e forma le stalattiti che pendono dal soffitto, è un sussurro il vuoto che si apre pronto ad imporsi nel fondo dell’occhio.
Un piede avanti l’altro mentre ci si appoggia con una estrema incertezza che un giorno si possa cadere. Guardo il sole che oggi è apparso dopo lo scroscio notturno, dalle finestre abbaglia come ad indicare una urgenza che velocizza le routine quotidiane. Attendo alle molte parole che dovrò affrontare come ad un nemico della mia salute, una ingenua rimostranza è il silenzio che chiuso in gola si oppone alle risposte dal sapore della consuetudine. Bagliori lontani riecheggiano nel fiume della memoria come davanti ad una festa non ancora festeggiata.
All’improvviso mi ricordo dei fatti accaduti mentre tra il rischiarare e l’imbrunire del cielo le anime sospese evaporano, è accaduto che tornado da scuola alcuni bambini si sono persi nel momento di diventare grandi. Questa storia della bassa pianura rievoca un tempo in cui le distese dei campi erano ancora la cosa più importante e ci si rincorreva tra grano e frumento. Aspetto un cenno in cui i papaveri schiudendosi colorano la sceneggiatura tra le risa e giochi dal sapore di una terra umida che da anni assiste le mutazioni delle stagioni, le sagome in dissolvenza sbiadiscono come il ricordo appeso tra le labbra invecchiate.