Danzano le luci (marzo 1)

Danzano le luci intorno agli occhi come falene bianche attratte dalle muse rincorrenti, questo verso suadente dall’intricata storia in cui il morire è una liberazione. Affermai nel discorso abbandonato tra le vecchie cose gettate nello scantinato una volontà di presenza, che ora mi sfugge colando via dalla crosta ispessita dal tempo. Dove volevo andare in quei momenti del “tutto è possibile?” Per stranezze che siano state, ora rimandano ad aspirazioni annacquate nel volgere della sera. Allo specchio lo sguardo si guarda nel frammento tra andare e venire per poi disconoscersi in un impulso di malvagità verso ciò che la rappresentazione vuole affermare come cosa certa. Seguo le notizie su i blog e scorre la trama degli accadimenti, un partito si rinnova, una nazione rivuole il proprio posto in Europa, ed il mediterraneo ormai è una tomba dove morire con le ultime speranze appese a dei barconi indecenti. E poi sotto casa nonostante il gelo improvviso le piccole abitudini quotidiane si ripetono come un metronomo prima dell’attacco della sinfonia. Il bene ed il male per strade intrecciate confondono il pensiero analogico, il quale non può farcela ad essere nello stesso istante duale come nella teoria, ma a tutti i costi, istante per istante deve volere una delle due parti. È ancora prematuro il pensiero binario o addirittura a più dimensioni contemporaneamente, ma certamente il cambio culturale passa attraverso ad una nuova modalità di pensare e percepire la realtà. I ricordi sono sfondi della realtà dove le emozioni dipingono le cupole del sacro ravvivando la fiamma che scalda il cuore, mentre chiusi o chini sul proprio invecchiare ci si aggira per le stanze con gli occhi calati sulle ombre ed i risalti di luce dalle mattonelle. Ci si chiama tra una stanza e l’altra seguendo i suoni ed i rimandi come segnali di soccorso lanciati da scialuppe sperse nel mare nero della burrasca. Nella profondità le anime si guardano sgomente per la perdita della superficie e del cielo che riempie i polmoni d’ossigeno, così che tra le creature marine permarranno fino a quando dimentichi di se stessi si arrenderanno all’acqua e alla sua schiuma come frontiera. Con semplicità si cerca di trovare il modo di essere gentili, discorsi fatti senza alzare la voce con la lentezza per lasciare che fluiscano comprensione e altre linee discorsive, un modo per cambiare le carte in tavola ad una platea di urlatori non più interessati alla ragione. Tra le scene del presente torna la saggezza nei volti degli ultimi, testimoni della sofferenza che se ascoltata è salvezza per gli ubriachi della volontà di potenza. Un volto nuovo al canto che all’imbrunire risuona nelle osterie del limitare periferico, dove ancora si sorseggia un gusto per il piacere che non stordisce ma lascia che la lucidità della realtà sia una presenza piena. Attorno ad un fuoco che scalda si possono dire tutte le cose che passano per la mente, senza per questo essere giudicati o sentirsi sbagliati. Si, un volto nuovo sorridente si intravede da lontano, che avanza tra i campi dimenticati solcando la terra che riprende con forza il significare del cibo e della sopravvivenza. Un volto che è anche il mio mentre me ne torno nell’’umile discorso della precarietà e della poesia che senza regole sgorga dove gli capita, senza chiedere permesso, ma…con rispetto. Frammenti che scivolano sulla carta a strappo, come messaggi o dispacci lasciati lungo un cammino che per il filosofo è “l’eterno ritorno”in cui da sempre siamo presenti nel divenire in cui la mano che lascia è la stessa mano che prende. Insieme verso la riva a pregare per i nostri morti mentre il sole cala all’orizzonte.

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