In molti si drogano (gennaio 2)

Motorini rumorosi dentro lo sciabordio della pioggia, lasciano scie che si spengono alle porte delle case, in parte ancora chiuse nel sonno dell’alba. I tumulti oltre oceano hanno segnato le informazioni di oggi, mentre altre restano non dette quindi esistenti solo per i protagonisti. L’epilogo delle disgrazie è sempre uguale ma alcune sono supportate dal pathos pubblico, mentre altre restano nell’anonimato, il mondo si bilancia sull’equilibrio del sentimento e l’informazione è lo strumento che lo muove. Un caffè con latte di soia mentre gli oggetti si ricompongono nel significato usuale, per riprendere il filo del discorsivo dismesso dal tonfo del sogno. Odori consueti si riverberano dal basso verso l’alto cercando nella confusione di porre una forma democratica delle sensazioni umane, ed al solito le discussioni del giorno prima accumulano agitazione nei sogni, così che già il giorno si sveglia sofferente e senza un rimedio. Vorrei chiudere la porta al brusio esterno che grava attraverso i muri e le finestre chiuse, ma le vie della connessione planetaria non ha limite, per cui inevitabilmente si finisce sulla graticola a rosolare a fuoco lento, divenendo un eguale come le patatine del McDonald’s. Molti si drogano di qualsiasi sostanza che capita a tiro, nel cerchio finito della propria comprensione del mondo…si raccontano dell’impossibilità di agire in modo diverso…nella realtà sono nella morsa di una vera e propria relazione d’amore e odio. Per un consumatore di droga non ci sono spazi di possibilità di interpretare la realtà se non significata dalla sostanza stessa, per cui il mondo si riduce a scelte a senso unico e l’altro da sé al di fuori dal consumo diventa solo oggetto funzionale a rimarcare il proprio cerchio finito di significanti. Uscire dal consumo è uno strappo doloroso che può essere compiuto solo lasciandosi andare al diverso da sé che impone una riscrittura del senso delle azioni in una visione alternativa nel sentire le sensazioni. C’è un bivacco oltre il terminal della stazione dove la notte ricopre di ombre i vagoni abbandonati, nel buio si muovono i coloni che hanno abbandonato la speranza per permanere nella giornata che si ripete uguale a se stessa fino allo sfinimento. La violenza si mostra senza inganno ed inferisce su corpi già debilitati dall’indifferenza mentre poco lontano l’alba ed il tramonto per altri continua nella routine di una apparente ordine di pace. Così che dove l’erba incrosta i muri abbandonati, si popola di corpi in abbandono, feriti dalla povertà e trascuratezza…e a volte litigiosi si spingono a farsi un ulteriore oltraggio. Vado un po’ ramingo in questi luoghi dove ancora caldo risulta il giaciglio appena lasciato, e nelle crepe di vecchia data cerco un senso di verità o una testimonianza che dica quale mondo è questo e che umanità è questa che con una certa smemoratezza passa con cecità sulla morte sua è quella altrui. Sono solo venature di tristezza che ad una certa età si fanno più insistenti, ed i luoghi sono testimonianze che permangono come un eco del tempo, utili per meditare sullo sfondo negativo di ciò che non appare. Il tragitto breve che ci porta dentro alla cruna della luna sembra lo spazio tra un sorriso e un minuetto, un sogno ad occhi aperti mentre torno dal lavoro e penso alle cose non dette, lasciate appese nel fondo timoroso della riservatezza. Sfrecciando con il Panda baldanzoso saluto le fronde che nell’oscurità mi vengono incontro come ogni sera, saluto e passo oltre con rispetto, la strada si apre scivolando via sotto le ruote e ripenso alla direzione del tempo che spinge verso una conclusione o una frenata.

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