Da dentro le bare semichiuse la ricerca degli indizi continua nel riverbero dell’oscurità che improvvisamente riversata da ogni luogo si impone nello scenario dei fatti, dagli sguardi amichevoli di vecchia data le persone raccolte sembrano riconoscersi e si scrutano le scarpe per non invadere gli spazi altrui. Forse un delitto si impone con la veemenza dell’interrogativo che cerca supplichevole una risposta ad i convenuti, i quali silenziosi attendono il trascorrere il tempo della creanza prima di lasciare muta la scena e tornarsene a casa. Parlare di ciò che si conosce, ma mi viene difficile solo pensare a questo conoscere cosa sia, le rotule vanno in pezzi, come le mani che un po’ alla volta si chiudono su se stesse. Domande e risposte è il mio mestiere, ma preferisco il silenzio, così che di solito non lavoro ma ascolto e guardo, i corpi che mutano in rigagnoli di sobria ruggine che si dilegua, ma si sa che la ruggine ha il brutto vizio di tornare. Si ricomincia ogni volta, ed è raro assistere allo spettacolo della svolta, ma quando succede si vive contenti per un po’. Nei rumori c’è la musica disarticolata, basta saperci un po’ fare con l’orecchio per trovare il riscontro sinfonico della bellezza, quando tiravo con l’arco sulle corde dello strumento ero attratto dal rumore del prima e del dopo della nota ben intonata, e oggi credo proprio che questa abitudine mi abbia fuorviato dal diventare un buon esecutore. Sono cose passate da tanto tempo, ma ogni tanto mi ritrovo a pensarci e credo che nel mio mestiere del domandare e rispondere mi sia rimasta quella smania del prima e del dopo, così che ascolto sempre una narrazione più lunga di ciò che è. Oggi sul quotidiano locale hanno condito uccisione di un trentenne da parte della compagna cinquantenne, con fendente fatale, una storia che si porta in giro commenti e per un po’ terrà occupati i baristi e frequentatori della chiacchiera, solo così si può tirare avanti nella provincia in cui le giornate si possono appendere come il bucato per essere rimesse un giorno dopo l’altro. Una cattiva notizia è sempre una festa per chi non la subisce, può spettegolare ed essere contento che non gli è capitata, un frullatore lo stomaco della gente, digerisce di tutto. Incombe sorniona la notte per riprendersi le strade e lasciare a pochi il privilegio di sguazzare nella foschia del pensiero attenuato, una forma indiretta di meditazione per lasciare che il mondo o la sua costruzione scivoli via per le zolle che vincono con il cemento un braccio di ferro quotidiano. Il giornale del mattino apre con una frana e la solita codazza di narrazioni abbastanza uguali a se stesse nel tempo di altre frane, una possibilità reale di una guerra nucleare in Europa con la particolarità di una via senza ritorno. Fuori è l’ora dell’inverno a nubi basse ci si rintana in un cuore caldo, fatto di anime sperse in un delirio della paura che segna il punto sulla frugalità e la spensieratezza della gioventù sia dei giovani che dei vecchi. Sono le prime ore queste, che ancora non del tutto mattino, mi fanno dire, cose un po’ a casaccio, per riprendere il comando, ricompattando i ricordi intorno all’azione di un intento verso la sopravvivenza, mi avvicino al punto in cui di solito lascio perdere il discorso e senza preavviso me ne vado ad acchiappare il cane che aspetta l’osso. Ho dei ricordi che non ho mai vissuto, appunto… se non nel ricordo, quindi che stranezza può essere la vita, se vissuta senza materialità. Di certo il dubbio viene rispetto a ciò che veramente conosciamo o crediamo di conoscere, in quanti siamo nella stessa storia biografica? Quante diramazioni si aprono nello spiazzo della memoria? Ora che sento la canzone della fine, melanconica e nello stesso tempo felice, posso osare, ed entrare nel solco di mezzo che già da bambino mi fece paura, ma ora sento vicinanza per le mutazioni spaventevoli, ora sento la diversità come identità. Cento parole al giorno sembrano un progetto ridicolo, come una fantasia, un vezzo, ma per me è restare attento a quell’esserci filosofico che è più una forma di azione meditativa che mero esercizio semantico. Intorno i rumori del quotidiano risveglio nel prepararsi ad andare nel proprio dovere, portandosi dietro la stanchezza che nel tempo sfibra il senso della libertà. I compagni di questo viaggio a poco per volta si sfilano nel ristretto spazio di un saluto, perdendo per sempre l’entusiasmo di “voler cambiare le cose”, già altri sono sull’uscio di casa pronti ad occupare gli spazi del tempo.