Quando un mese finisce si spegne una ennesima candela nella chiesa al limitare del fondo valle, un soffio percepibile per chi passando segna la croce sul petto in segno di fede. Una certa idea di Dio si dilegua nella fantasia di ognuno nelle forme più disparate nel segno inequivocabile che si sottrae ad ogni realtà, per cui il fanatismo religioso è decisamente una forma di gioco protratto nell’età adulta. I discorsi che dal centro di un certo mondo si spostano alla periferia fanno eco a semplificazioni da battuta di spirito in modo da alleggerire la paura che devasta l’occidente in questo presente in cui il motto è muoia Sansone con tutti i filistei, cioè un suicidio di massa per sopraggiunta fine della capacità di sognare. Schiere di santi si sono ritirati nelle torri d’avorio aspettando che il temporale passi e nella lentezza tornano le litanie che esprimono un racconto che diventerà la storia. Sento dire che la compagnia migliore è l’animale che si prostra ad i piedi ma forse la compagnia migliore è la vacuità la quale non ha bisogno di ammiccamenti per essere abbonita. Rispondono dall’altro capo del mondo che le compagnie sono la steppa o la tundra sconfinata in cui la parola del vento domina il suono della ragione, oppure ci si può accampare e restare silenti dentro all’unico abbraccio possibile con se stessi. Se la realtà si spezza, il discorso si interrompe e milioni di naufraghi resteranno senza zattera in balia dell’eterno sopraggiungere degli eterni senza capirne il senso, così che la pazzia possa insediarsi come migliore compagna nel per sempre volgere degli eventi. L’immagine che si staglia sullo sfondo è il vascello sbrindellato dalla sferza della volontà contraria che navigando controcorrente risale la china della ragione per porsi innanzi nella drammaturgia fantastica dello sturm und drang. È il porsi della violenza che con inflessibile potenza vuole che le cose siano altre da se, per la costruzione di un racconto di epoca medievale futurista in cui tutto funziona come una macchina ben oliata senza dissenso o storie divergenti. Mi dico che forse ho frainteso la musa nel significato del suo canto, mentre altri gridano che tutto si mette a posto come aggiustare un orologio che poi torna a ticchettare alla perfezione. Rispondo che non mi sento tranquillo, anzi l’ansia mi sta soffocando con immagini di bambini che non cresceranno più e di sterminati boschi di alberi incolori perché moribondi, ed ad attendermi un abbraccio soffocato della musa che ora è diventata morte. I risorgenti sono menti genuine che nella palude del devasto cominciano ad intonare mantra di guarigione e speranza, sono invisi alle popolazioni che non li riconosco come uguali perché una volta incamminati sul sentiero della notte osteggiano la luce del giorno, ma i risorgenti sono un’onda che plana tra la luce e non teme sconfitte perché la loro natura è essere ciò che sono. Si nascondono nelle discariche portuali mischiandosi ad i gabbiani nella sopravvivenza con i rifiuti o quello che gli stolti credono rifiuti, testimoniano l’essenzialità e la sobrietà che è già potenza rivoluzionaria, per cui il silenzio nel frastuono è l’alternativa per un sopraggiungere del discorso che chiude la stagione. I risorgenti in autunno si colorano del rosso opaco della rugiada mattutina e calzano il nero della terra umida segnata dagli idrocarburi impastati con legna spaccata dalla ruggine, il quale è un vestito per la festa del ricordo dei campi snobbati dal popolo, che non potrà ignorare a lungo la propria provenienza o lignaggio. Se dalla terra vieni dalla terra ci devi tornare, alla fine la mente non può ignorare i propri piedi che la sorreggono.
I risorgenti
Pubblicato da Mattioni Marchetti Terrablu
modalità di scrittura improvvisata cercando di seguire il flusso del pensare con l'istantaneità dello scrivere. Vedi tutti gli articoli di Mattioni Marchetti Terrablu