Tipi bizzarri

Ci sono in giro tipi bizzarri che in qualche modo sollecitano la fantasia verso costruzioni ed ambientazioni scenografiche nell’ ambito del vissuto immaginario, il Viscido per esempio si aggira come un segugio a caccia delle storie degli altri come se la propria vitalità la estorcesse nella soddisfazione delle pene altrui. In fondo, cosa non difficile in quanto nel quartiere l’età media è quella obsoleta per cui ricca di voglia nel raccontare i dolori odierni e le glorie che furono. Quasi tutti girano con il cane al guinzaglio veicolo inconfessabile dell’attaccare bottone e compagno inseparabile nella rievocazione solitaria del proprio racconto nelle mura domestiche. Il Viscido ha il naso prominente che anche involontariamente fa apparire la schiena gobba, ed il corpo proteso verso l’esterno come un cane da tartufo, in tutto questo la fisionomica o scienza del pettegolezzo spinto porta la descrizione nelle vette malevole del pregiudizio. Anche la Iattona si aggira per il quartiere ed anche lei nel femminile corrisponde ad i canoni del pregiudizio, rotondetta e piccoletta ispira una aurea di sfiga permanente alla quale involontariamente si cerca di sfuggire, guai iniziare una giornata incontrando la Iattona è una catastrofe perché si rimane in apprensione per il resto delle ore aspettando il peggio. Poi ci sono gli urlatori, soggetti i quali non hanno un concetto di farsi i cazzi loro, infatti sbraitano al cellulare, ed in qualsiasi altra occasione che aprono la bocca, per questi il quartiere è il palcoscenico per rappresentare la l’ora vita in episodi. Probabilmente anche tra le mura domestiche urlano in modo da essere molesti, perché nella concezione dell’individuo molesto non c’è che è un rompi cazzo, ma bensì un simpaticone e altruista. Alcune figure spiccano creando riverenza, sono i passionari o le passionare, cioè quelli che ci credono nelle cose che dicono e lo vogliono dire a tutti, nei social o negli eventi pubblici sono sempre in prima fila, dispensano misericordia e buoni propositi ma sempre da una posizione privilegiata dall’agio sociale. Sono per lo più la classe che sostiene i dominanti anche se li critica ma restando nella stessa famiglia di appartenenza. La definirei razza padrona per quel piglio supponente di trattare chi ha bisogno in modo caritatevole ma non da pari, una razza che non ha mai avuto necessità di mettersi nelle scarpe di un altro. Poi ci sono i migliori cioè i pazzi autoctoni, nati nell’ambiente del quartiere ed integrati nel paesaggio architettonico, di regola possono fare ciò che vogliono perché sono nella narrazione popolare e riempiono i vuoti della monotonia e della solitudine dei molti che hanno perso il senso del tirare avanti. La pazzia dell’altro tiene a bada la propria e la funzionalità sociale del matto che mostra la propria pazzia è l’antidoto alla normalità ed alla quiete pubblica, difatti ogni quartiere ha i suoi e li custodisce gelosamente. Tra i vari sotto sistemi che formano una città e la propria sinfonia narrativa in cui bene o male tutti si accordano, c’è anche il sottosuolo la cui musica dodecafonica stride dentro le favole del sopra. Nel di sotto le regole capovolte fanno si che l’invisibilità sia il tratto distintivo dell’essere che essendoci si cela nel nulla che non può esserci, il quartiere rende afono il discorso del sottosuolo perché le paure una volta fuggite è lì che si rintanano covando rancore per i propri padroni ed un giorno potrebbero mordere la mano che le ha nutrite. Basta guardarsi un po’ in giro senza andare troppo lontano per vedere le razze umane come si raccontano e si rappresentano nella necessità della comunicazione da cui non ci si può esimere.

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