Soldati

Stanchi si cammina per strada ammiccando da fedeli abitatori del tempio della speranza, la quale non è altro che la musa che tiene distante la soddisfazione dal piacere. Così i soldati in marcia cantano nenie con significati plaudenti lo sperare, tra le rovine di quel che solo ieri era una organizzata comunità sopita nella consuetudine di una pace fasulla. Si tirano tra loro frecciate in battute che mascherano l’ancora presente passato in cui niente di tutto questo sembra possibile ma l’abitudine improvvisamente si rompe ed è come il vaso di Pandora, cioè, l’inferno in terra. Si sta rintanati al di sotto del piano stradale in luoghi sconosciuti ad i più, perché in un’altra vita solo i randagi bazzicano il sottosuolo, e ora che il senso della morte è vicino come un cane fedele anche il corpo degli altri compagni diventa appartenenza e le sensazioni si propagano con l’odore del sudore. Si rispolvera il canto perché da sempre rimette in accordo le singolarità sopite dagli anni trascorsi nell’ individualismo e soprattutto non si guarda chi muore sia amico che nemico, si impara a guardare oltre ogni spazio occupato dal tanfo della paura. Il canto racconta il mito, la storia dell’eroe che rinasce dalle ceneri della propria volontà, auriga nelle varie ere del carro da i due cavalli alati, il bianco ed il nero che tenuti nel segni della giustizia portano alla verità. Il saggio eroe dopo avere concluso la battaglia si ritira in terre nascoste lasciando agli uomini riprendere il cammino della speranza e poi il ritornello parla di natura incontaminata e cieli immensi oltre la capacità di comprensione. Il canto vela come una coltre i morti ed i vivi non facendo differenza tra amici e nemici nella guerra che esplode senza possibilità di un ritorno. Siamo al solito scenario con trincee, agguati, e civili che subiscono angherie e soprusi, perché tra le file dei combattenti si nasconde il male per il male, quel male che lo si vede quando l’individuo si nasconde nei motti del popolo, è la carogna umana che morde ritirandosi poi nei molti. L’eco del ritornello:”l’aria soffusa spinge la nebbia oltre lo sguardo/verso il limite ignoto dove tendere la mano/con falcate da gigante la terra è riconquistata/la terra che è la nostra terra/coltivata dagli antenati fino ad oggi/nella foschia il canto accoglie il nemico nel cerchio del perdono. Come ricorda Platone:”solo i morti hanno visto la fine della guerra”, durante il macello tutto diventa oggetto di uso e consumo frenetico, i corpi oggettivati oscillano tra lussuria e annientamento giustificando perversioni e violenza. Scrive Hedges:”gli essere umani diventano oggetti, oggetti da distruggere o da usare per gratificazioni carnali. Il sesso casuale e frenetico, assai frequente in tempo di guerra, spesso passa il segno e si trasforma in perversione e violenza, rivelando un grande vuoto morale. Quando la vita non vale niente, quando non si è sicuri di sopravvivere, quando a governare gli uomini è la paura, spesso si ha la sensazione che rimangano solo la morte o un fugace piacere carnale”. Rintocchi all’alba verso il giorno per riprendere il filo dei discorsi mentre da sotto i piedi sembra scivolare via la vita, case rotte in cui passare attraverso immaginando i ricordi annidati lungo le pareti annerite dalle esplosioni, giocattoli rotti per bambini che improvvisamente adulti si aggrappano al gioco con malinconia per quel che fu.

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