E’ una caccia al tesoro, dall’altra parte della comprensione, tra avventurieri disposti a tutto per assaporare un attimo di gloria. Le squadre si formano a caso rispetto a verosimiglianze superficiali come colori, altezze o semplici ammiccamenti. Si può uccidere, distruggere, devastare, oppure usare gentilezza e fascino per ottenere gli stessi risultati. È una caccia che richiama agli antichi riti della terra in cui ci si mischia nella polvere e nell’acqua fino in fondo alle radici dei più antichi alberi che ancora tengono memoria dell’antico. Il proprio sangue si mescola nella corsa con la zolla calpestata per penetrare in profondità fino alla faglia per sincronizzare le pulsazioni sugli smottamenti e percorrere le vie sotterranee che legano insieme il mondo sotto il cielo. Eroi moderni che come gladiatori catalizzano nelle proprie gesta il coraggio di tutti quelli che restano nell’ombra della paura, impigriti dai secoli del progresso verso l’esclusione dall’uso del corpo per sentire le cose intorno a se. Il tesoro è il mistero che si cela da sempre nelle terre dell’ oltre in bella vista per chi ha perso la facoltà di guardare, trovarlo spetta a chi ha la capacità di perdere tutto senza rimpianti. Una caccia che riporta l’orologio all’inizio di ogni storia raccontata quando la disperazione chiede aiuto alla magia e le parole si condensano in riti e la fede ritorna a battere il chiodo contro la ragione. Il grande gioco dell’avventura dove finalmente uomini e donne possono liberarsi dal ghetto delle buone maniere e ritrovarsi famelici con le proprie pulsioni vive al posto della pelle. Risorge dalle ceneri della filosofia la cruda verità della sopravvivenza, quella che non risparmia niente e nessuno perché priva della ragione. Una caccia al tesoro che non esclude colpi o riserve da parte dei predatori, perché nel gioco non ci sono vittime, chi soccombe, cade da combattente, in quanto non c’è posto da questa parte della sponda per in caduti. Quindi tutti uguali i combattenti nel cerchio della possibilità, in cui ogni ente fluisce nell’atto in modo che niente non sia più un qualcosa ma volontà pura dell’ esserci. Il tesoro è una oscillazione ripetuta dal desiderio di essere colta in un impeto di voluttà, un tesoro di essenza tra male e bene in cui il perdersi è il ritrovarsi sempre e per sempre perso. Il vero male esiste dentro l’opacità umana di non essere mai una chiara superficie riflettente, ma diabolica oscurità pronta ad emergere quando le prede ignare o abbonite non si aspettano di essere divorate. Poi anche la bontà si presenta in forma di preghiera tra i guerreggianti per un oasi di riflessione dentro l’estenuante gioco della sopraffazione. E, poi viene la sera, con l’oscurità la lentezza dei giochi si fa soppiatto e strategia, con pazienza e circospezione si entra nell’area della notte sotte le stelle. Il tesoro è una fievole luce al limite estremo dove lo sguardo non può arrivare, ma la sensazione se lasciata correre attraverso le zolle ha la facoltà di sognare la meta. Il tutto si conclude nella sostanza delle azioni scritte in forma di arabesco nelle torri edificate dai guerrieri, in una storia che si delinea da se, completando la rotazione che gli spetta nelle forme del firmamento. Quando la campana suona la fine si ritrova l’immobilità e tutto tace. Così; per mano, a coppie le persone percorrono i viali colorati dai fiori lasciati spuntare dalla fine della caccia, un nuovo inizio oltre la cruna.