Scrivere tutti i giorni per chi non sa scrivere come me, è una forma di retorica del dissenso. Un esercizio alla riflessione in cui i pensieri si accodano alla scrittura in una unica espressione per lasciarsi alle spalle le forme bianche del segno. Stigmate come simboli destrutturati e poi ricomposti nel sangue vivo della giornata, pioli puntati in una corsa sulla ferrata in bilico tra cielo e terra per non perdersi nella foschia montana quando a valle le opinioni dominano le cattiverie tra le persone. Da Platone in poi la visione è il paradigma di ogni costruzione ideica, ed allora mi chiedo se fossero stati filosofi non vedenti a dare avvio al pensiero come sarebbe oggi l’occidente? La lenta discesa verso il basso, a raso sulle mattonelle tra le fughe in cui un’altra vita si depositata animando una città di incontri, sotto la coltre invisibile che cela ciò che non vogliamo faccia parte dei nostri percorsi, sta ciò che ci domina senza essere visto o sentito. Questo per dire che forse la eccessiva fiducia nella visione ci ha reso incapaci di usare lo sguardo per ciò che è, cioè una sensazione di fluttuazioni che oscillano in vari stati contemporaneamente senza la staticità a cui noi aggrappiamo il senso delle cose. A metà settimana cerco di starmene un po’ in disparte dalla storie e dalle situazioni che cercano soluzioni, le parole ascoltate rotolano come una calca verso un recipiente mai colmo, ed io a metà strada tra il detto ed il già detto mi interrogo sulla mia identità. Sono forse ormai un prigioniero delle voci altrui? Dipendo dalle definizioni e dai giudizi che continuamente mi vengono incontro? Banalità con cui cincischio nel mio tempo privato che non è il tempo di tutti. Il mio divenire intimo in cui noto le rughe cambiare e sento il sotto pelle bollire per diventare cibo per questo mondo che ancora non conosciamo. Risento nello spazio del ricordo vecchie strofe di canzoni degli anni della protesta cantate nelle strade, ed arrivano fino ad oggi in cui le mie strade sono sfumate per diventare stanze e uffici chiusi all’eco del movimento che rompe con gli schemi del passato. La filosofia nata come dialogo per migliorare la vita si è strutturata come metodo in cerca della verità ed in essa si è persa per il limite estremo del linguaggio che nel nostro mondo si è impossessato del pensiero. Sgusciare al di fuori dalla griglia delle parole interne è come trovarsi in un altro pianeta, popolato dalle sensazioni liberate dai contesti di senso. Una lunga cavalcata lungo la frontiera come nella conquista dell’Eldorado in cui il sogno ha sovrastato il reale perdendosi o ritrovandosi con la verità. Mi ritrovo nel mio stare con i suoni della quotidianità che scandiscono il tempo in modo che tutto resti compatto e che come sostiene Mancuso il senso sia il mio consenso, la spiegazione che si aggiunge alle molte altre già dette nella penombra dalle persiane chiuse. Una affinità amorevole che in questo luogo accoglie le storie intrecciandosi nel coraggioso intento di vivere. La serie dei numeri compare come un serpente transitante da luoghi sconosciuti ad un presente incerto per recare un messaggio, sussurrando nell’aria il colore della speranza chiazzando il grigiore dello sfondo, forse non basterà per questa generazione a trovare la forza per cambiare le carte in tavola, ma nell’eterno la partita perde i confini delle possibilità. Qualche volta mi capita di sentire la voragine oltre l limite dello sguardo, un abisso debordante senza nulla a contenerlo e mi chiedo se veramente vogliamo o desideriamo guardarci dentro con il nostro limite nella moralità.
Scrivere
Pubblicato da Mattioni Marchetti Terrablu
modalità di scrittura improvvisata cercando di seguire il flusso del pensare con l'istantaneità dello scrivere. Vedi tutti gli articoli di Mattioni Marchetti Terrablu