Nascosto dietro la mia figura aspetto il calare dei discorsi lasciti abbandonati intorno all’area dove la sosta è a pagamento, per poi sgusciare via per il tempo concesso senza l’io in modo da essere trasportato nel mare delle sensazioni senza il bisogno di nominarle. Ristetti come una figura immobile mentre le auto sostano e ripartono in modo perpetuo, non c’è un filo di senso in tutto ciò ma solo costrutti individuali che si attraggono e respingono come nel tango senza mai lasciarsi veramente. Di profilo sembro apparire diverso ma oltre la figura ci si accorge che qualcosa manca e quel qualcosa è l’essenza in fuga dall’essere se dell’ essente. Ora mi chiedo se oltre alle scaltre visioni del giorno si possa in qualche modo eludere la concretezza del concreto, un passare attraverso senza per forza gravare sulla frizione con gli oggetti in modo da sentire la conoscenza in ogni sua direzione, nella stanza accanto il respiro del cane è rumoroso per la calura, ma non scompone la sua smania di immischiarsi nelle trame altrui, si percepisce in questo l’incrollabile volontà di vivere ed è contagioso nella convivenza. Oggi è domenica e si sente meno la calca delle auto verso la città quindi si può lasciare le finestre aperte, ed in questo modo il proprio presente si mischia ad i discorsi frammentati che scivolano da dentro le persiane per depositarsi con la polvere nelle incrinature delle fughe del pavimento, animando di fantasia le pareti bianche che si fanno sfondo da teatro. Gli odori delle spezie volano negli spazi lasciati liberi dai ricordi evocando provenienze ed etnie mischiate in questo nuovo mondo che fatica a lasciarsi dietro la realtà unicolore dal sapore coloniale. Sembra lontano l’eco della guerra ma di fatto è già nei cuori e nel linguaggio dei popoli in cui si da come possibilità, per cui si prepara lo sfondo della tela per poi con il sangue erigere l’opera del destino compiuto. Raccontare il quotidiano mentre si srotola è un esercizio da funambolo appeso tra due dimensioni; un passato e un futuro che non si incontrano mai, nel mezzo la bufera degli oggetti che seguono il corso delle trasformazioni. Una vecchia grassa e sgradevole all’angolo dalla via, appoggiata ad una invisibile sponda permane ferma come un monito senza un movimento o un sussulto di vita, una strana figura per uno strano giorno sotto il sole che si fa lucente, in una mutevole sensazione che mentre si passa oltre l’angolo il tempo trasforma la figura in giovinetta che attende sorridente il passaggio. Nello scorrere c’è lo stupore di trovarsi in alternanza in uno dei due estremi in cui conchiudere lo spettro della realtà, forse in base ad un umore o semplicemente a come il piede cade nel mattino dal letto, per cui poi camminare diventa un esercizio di mediana impostazione delle aspettative. Appare tra le dune l’inizio del bosco come massa oscura che si dipana oltre l’orizzonte dagli sguardi deboli nella loro umanità; è nell’antro al di sotto della luce che l’azione prende vita animandosi in quella lotta che si profila come sopravvivenza. Le radici si parlano diffondendo gli avvenimenti in modo che tutto il bosco rimanga informato sull’accadere e possa prendere forma in base al vivere e morire delle molteplici trasformazioni. Probabilmente non è una comunicazione come l’umana ma il nostro limite è l’impossibilità a pensare al di fuori della metafora di noi stessi per cui ci è inconcepibile pensare l’impensato. Ancora il vento parla nel bosco fitto suggerendo le antiche formule di quando le persone erano solo una parte minoritaria ed il loro vociare non sovrastava ancora il linguaggio della natura, ora solo chi ha sensi finissimi può percepire la musica antica e goderne il sapore.