Si ritorna per sentieri conosciuti dalla montagna quando cala dall’altra parte del mondo il sole, ascolto le notizie che lanciate all’aria sedimentano nei comportamenti e mi faccio una idea di quel che succede. Ruota tutto intorno alla mortalità ed al senso del nulla, che in questo tempo ha acquisito un potere enorme su un intero pianeta o quel che vediamo di Essa. Cammino nello sterrato colmo del rumore di questo o quel fatto che appena successo dilegua in altri più contingenti che appaiono alla fine uguali, incrociando altri con un saluto ed ognuno per il proprio declivio verso la meta o il ritorno. Una festa ferma per un attimo il suono continuo del lavorare e con calma si può tirare il fiato, la città in questo momento preferisce il rumore del camminare e essere guardata nei luoghi dove ci si può fermare a chiacchierare o guardare altri che fanno le stesse cose. Indisturbati i piccioni sembrano più pigri e diventano restii a spostarsi mentre fissano il punto bilaterale davanti a loro, sono una presenza costante nelle uscite o semplicemente quando ci si ferma con qualcosa da mangiare in mano, non è ben chiaro di chi sia il territorio mentre ci si scansa perdendo la proprietà. Ci sono persone che rimangono nella mente per il loro carattere peculiare, spingono a ricordare quando è importante cambiare passo al presente, si ricordano le battute ed i sorrisi evocando i momenti in cui per un attimo ci si è sentiti bene. Un amico che ora non c’è più perché andato oltre quel confine in cui il corpo non può superare, ho condiviso il sentire le sensazioni in quel modo particolare che rende gli umani vicini nel guardare le cose e esporle all’essere. Tornando verso casa mi riporto il senso di appartenenza ad una generazione che sulla via si sta per spegnere, anni divisi da un cambio secolo che nel pronunciarlo sembra una vertigine, un malessere che prende dalle vie respiratorie e schiaccia il diaframma in uno spasmo di ansia, come i pesci abbandonati nei cestini da pesca senz’acqua dai pescatori incuranti. Quindi tornare a casa è saltare da un secolo all’altro con la chiarezza che nulla è cambiato, il calore prodotto dalla confusione e dalla malvagità rimane intatto nel suo dispiegarsi e a tratti mostra lo sterminio a cui la mia generazione aveva solo letto e visto nei filmati d’epoca. Parlare è diventato un esercizio faticoso in quanto le parole si trasformano in gomma amara e pesante rotolando fuori dalla bocca non spiccando più il volo ma spiaccicandosi a terra, rivoltando lo stomaco per lo sforzo, e a volte cerco dì raccoglierle dal suolo, ma si spiaccicano tra le mani colando con pesantezza spinte dalla gravità, quindi mollo il colpo e taccio nelle passeggiate vere e finte che mi restano da fare nelle vie che ho scelto per chiudere il mio secolo. Un saluto, un sorriso sono rimasti intatti per cui nel tacito pellegrinare è possibile incontrarsi e per un attimo rispolverare l’affetto di cui l’umano è capace.