Tu che dici dove sono le parole per indicare la strada di mezzo quella che non si riesce a guardare da dritta ma che inclinando l’asse del cielo là si può intraprendere. Dici in continuazione quanto è grande lo stupore per le malefatte delle persone povere, quelle che prive di senso si spingono a urlare in faccia a tutti il disprezzo della privazione sulle ali della violenza. Dici anche che la guerra pulisce le strade rigenerando dall’umiliazione della sconfitta il sapore buono del pane condiviso tra nemici passati, ed intono alle macerie già un brusio si alza con il vento nell’intento laborioso di aggiustare le cose. Ma dentro di me sento un dolore atroce che non passa, una fitta continua lungo le immagini della sopraffazione nella costante divisione del mondo in ricchi e poveri che non cambia mai nello schema del prima o del dopo guerra. Il debito nella forma morale è l’arma che sottomette singoli e popoli in una tenaglia mortale di schiavitù, e tu dici che le catene sono denaro che in fondo come la carta potrebbero bruciare per tornare ad essere nulla, come la cenere nel suo cominciare ad essere qualcosa d’altro.