La riflessione camminata si sposta sulle ombre tra gli oggetti, gli spazi di mezzo che di solito sono riempiti dalle fantasie mentali. Tra i passi lenti le conformazioni incavate nel vuoto producono una vertigine in cui il perdersi è uno stare sospesi nel margine estremo della preposizione. È così che piano si entra nella realtà non contaminata dalle consuetudini, un trucco tramandato dai meditativi d’Oriente per sostare con tranquillità sulle onde del mare in burrasca. Parole che ricadono riverse per terra lungo il pendio che conduce oltre le creste coperte del muschio rado e coeso alla roccia, come una sbavatura di colore essiccata nella dimenticanza. Passo dopo passo verso un qualsiasi altrove recitando la preghiera del risveglio, una linea curva che si perde andando dritto a se con un incedere cocciuto, insieme al risuonare delle voci che hanno reso il percorso un cammino salvifico per la natura che ospita i passi da sempre. È la mia voce che incontro nella fatica apparendomi estranea senza un senso nell’ articolarsi all’aria, tendendo l’udito cerco il significare dei suoni ma tutto svanisce nell’attimo in cui cado nel vuoto del giorno.